10.18601/21452946.n30.10

Le res communes omnium di marciano: dell'equilibrato rapporto tra uomo e risorse naturali

Marcian's Res Communes Omnium: The Balanced Relationship Between Man and Natural Resources

La res communes omnium de Marciano: la relación equilibrada entre el hombre y los recursos naturales

DOMENICO DURSI1

1 Doctor en Diritto Romano, Diritto Privato del mercato e Teoria Generale degli Ordinamenti de la Università di Roma Sapienza, Roma, Italia. Desde 2020 es RTD "b" del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Roma Sapienza, Roma, Italia. Miembro del personal docente del Doctorado de Investigación en Derecho Romano, Derecho del Mercado Privado y Teoría del Sistema Jurídico en el Departamento de Derecho y Economía de las Actividades Productivas de la Universidad Sapienza de Roma, Roma, Italia. Es vicedecano de la Facultad de Economía y Derecho fundada por la Universidad Sapienza de Roma y la Universidad de Economía y Derecho de Zhongnan. Es presidente del Centro de Estudios Concetto Marchesi y secretario del Centro Italiano-Chino de Estudios Jurídicos. Correo-e: domenico.dursi@uniroma1.it. Enlace Orcid: orcid.org/0000-0002-5131-5040. Fecha de recepción: 22 de febrero de 2023. Fecha de modificación: 27 de abril de 2023. Fecha de aceptación: 8 de mayo de 2023. Para citar el artículo: Dursi, Domenico, "Le res communes omnium di marciano: dell'equilibrato rapporto tra uomo e risorse naturali", Revista digital de Derecho Administrativo, Universidad Externado de Colombia, n.° 30, 2023, pp. 227-245. DOI: https://doi.org/10.18601/21452946.n30.10.


SINTESI

L'articolo, prendendo le mosse dal dibattito italiano sulla nozione di beni comuni, analizza la categoria marcianea delle res communes omnium per profilarne lo statuto giuridico, dal quale emerge come a nessuno potesse essere precluso il godimento di risorse che la natura pone a disposizione di tutti.

Parole chiave: beni comuni; res communes omnium; giusnaturalismo; pesca; caccia; acqua; aria; beni pubblici.


ABSTRACT

This article analyses the Marcian category of res communes omnium to profile its legal status. It takes as a starting point the Italian debate on the notion of common goods, from which it is conceived that no one can be prevented from enjoying the natural resources available to everyone.

Keywords: Common Goods, Res Communes Omnium, Natural Law, Fishing, Hunting, Water, Air, Public Goods.


RESUMEN

Tomando como punto de partida el debate italiano sobre la noción de bienes comunes, el artículo analiza la categoría marciana de res communes omnium para perfilar su estatuto jurídico, del que se desprende que nadie supiera ser excluido de disfrutar de los recursos que la naturaleza pone a disposición de todos.

Palabras clave: bienes comunes, res communes omnium, derecho natural, pesca, caza, agua, aire, bienes públicos.


INTRODUZIONE: L'ODIERNO DIBATTITO SUI BENI COMUNI IN ITALIA E LE RAGIONI DI UNA RICERCA DI STORIA GIURIDICA

L'ormai acquisita consapevolezza della finitezza delle risorse e della necessaria costruzione di un equilibrato rapporto tra uomo e natura induce a individuare sempre nuovi strumenti, materiali e immateriali che consentano di preservare l'ambiente e - direi - il Pianeta, per le future generazioni. Tra quelli immateriali, un ruolo centrale svolgono le normative approvate negli ultimi anni proprio a tale ultimo scopo. Né si può tralasciare la riflessione sviluppatasi in ambito giuridico con l'intento di elaborare nuove e più incisive misure. Ora, benché i problemi in questione non si ponessero per il mondo antico, lo storico del diritto e il giusromanista, in particolare, ove voglia offrire un contributo alla sfida di questi tempi, ha il dovere di analizzare quegli istituti giuridici elaborati dagli antichi per fissare un qualche criterio di utilizzo delle risorse naturali2.

Il mio contributo, pertanto, come emerge sin dal titolo, verterá sulla categoria delle res communes omnium con un accento posto sul rapporto tra necessità economiche e natura che è alla base - mi pare - della sua elaborazione.

L'attenzione verso questa peculiare categoria di res è, come noto, tornata in auge nel primo decennio del ventunesimo secolo allorché imperversava ad ogni livello il dibattito sui beni comuni, dalla dimensione filosofica e politica a quella eminentemente giuridica.

Quanto a quest'ultima, basti qui ricordare gli importanti interventi giurisprudenziali (S.U. della Cassazione del febbraio 2011 nn. 3665, 3811, 3812, 3936, 3937, 3938, 3939) e le discussioni che hanno visto protagonisti i cultori del diritto positivo: mi riferisco, in particolare, ai civilisti e agli amministrativisti.

In particolare, la Suprema Corte italiana ha utilizzato l'espressione "beni comuni", richiamandosi, peraltro, alle res communes omnium del diritto romano, configurandoli come "beni strumentalmente collegati alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini […] che indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività"3.

Il richiamo di questa nozione non giungeva per caso, del resto, parafrasando una celebre affermazione ricorrente nel de rerum natura di Lucrezio, de nihilo nihil4. Infatti, è bene ricordare come già nel 2008 nell'ambito dei lavori della Commissione, istituita con Decreto del Ministro della giustizia per la riforma del regime codicistico dei beni5 e presieduta dal compianto Stefano Rodotà, si giungeva a elaborare una nozione di "beni comuni" all'interno del disegno di legge poi abortito6. Nel dettaglio, per beni comuni dovevano intendersi quelle cose che esprimono utilitá funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, e sono informati al principio della salvaguardia intergenerazionale delle utilitá che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolaritá diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati"7. Da qui, poi, venivano elencate alcune tipologie di beni così caratterizzati.

In sostanza, l'assenza di una definizione normativa di beni comuni non ha impedito che nel nostro ordinamento vivano due nozioni di beni comuni, la prima, quella della Cassazione, più incentrata sugli interessi di tutti i cittadini, come rilevato da Di Porto8, la seconda, invece, sembrerebbe porre al centro i diritti fondamentali della persona.

Il dibattito sui beni comuni, peraltro, aveva travalicato i confini dell'Accademia e delle Corti e la categoria era stata posta anche alla base della campagna referendaria del 2011 sull'utilizzo delle risorse idriche. In particolare, per la gestione dell'acqua, pur qualificata come bene demaniale pubblico da utilizzarsi secondo criteri di solidarietà, salvaguardando i diritti delle generazioni future, secondo il disposto dell'art. 144 del d.lgs. 152/2006 (T.U. sull'ambiente), il medesimo T.U. all'art. 154 comma 1 prevedeva la possibilità in capo ai privati che avessero assunto la gestione del servizio idrico di conseguire remunerazioni ulteriori rispetto alla copertura dei costi, nel 2009, poi, era stato previsto un sistema di gestione che coinvolgesse in misura prevalente i privati in base al disposto dell'art. 23 bis del d.l. 112/2008, convertito nella legge 133/2008. La campagna referendaria del 2011, rivendicando per l'acqua la qualificazione di bene comune, chiese e ottenne l'abrogazione dell'art. 154 nella parte in cui consentiva la remunerazione del capitale privato in misura maggiore ai costi sopportati e l'abrogazione dell'art. 23 bis di cui sopra.

Questo fermento di interessi su diversi piani, aveva condotto uno dei massimi protagonisti di quel dibattito, Stefano Rodotà, appunto, a definire il 2011 "l'anno dei beni comuni"9.

Leggendo i contributi che venivano pubblicati, si poteva constatare, tuttavia, come gli sporadici richiami al diritto romano erano, per lo più, di maniera e spesso, gli scritti che presentavano una maggiore sensibilità storica si fermavano agli usi civici medievali, senza inoltrarsi lungo i sentieri della millenaria esperienza del diritto romano, ove come si apprende sin dai corsi istituzionali, era nota la categoria delle res communes omnium, appunto, che presenta una qualche assonanza - si badi, non un'equivalenza concettuale, tra nozioni sorte in epoche e contesti assai diversi10 - con i beni comuni. Anche per queste ragioni, ho dedicato al tema una ricerca, poi confluita in una monografia11, cui si farà spesso riferimento in queste pagine: essa si poneva l'intento di analizzare le fonti romane in argomento, per provare a delineare la formazione della categoria e il suo statuto, nel quadro più ampio della teoria dei beni elaborata dai giuristi romani.

1. LE RES COMMUNES OMNIUM MARCIANEE: CENNI SUL FONDAMENTO E SULLO STATUTO DI UNA CATEGORIA DI BENI

Occorre, peraltro, chiarire come per lungo tempo lo studio della categoria in questione fu condizionato dal giudizio che ne aveva dato Mommsen in una lettera indirizzata a Vittorio Scialoja, relativa a un testo epigrafico, nel quale l'illustre antichista definiva le res communes omnium, come categoria senza né capo, né coda12. Data l'autorevolezza della definizione per molto tempo, non si assegnò rilevanza alla categoria e si arrivò al punto di inserire la stessa sin nel titolo di un ponderoso volume in argomento: mi riferisco al lavoro monografico di Ubaldo Robbe Res nullius, res nullius in bonis e la categoria pseudo-marcinaea delle res communes omnium che non ha né capo né coda13. Va per vero sottolineato come fu per opera di Giuseppe Branca14, che iniziò una inversione di tendenza e una rivalutazione della nozione. L'autore, infatti, nel 1942 pubblicò un lavoro monografico sulle res extra commercium humani iuris, incentrata sulla dogmatica marcianea, di cui si dimostrava la classicità. Il lavoro - sia detto per inciso - valse l'ordinariato a Branca, con un eccellente giudizio, formulato dai commissari Salvatore di Marzio, Lauro Chiazzese e Giorgio La Pira, i quali rilevarono come lo studio avesse determinato un cambio di paradigma nella interpretazione della categoria15. Su questo solco si sono mossi, poi, diversi studiosi. Non potendoli menzionare tutti per non appesantire questa riflessione, mi corre l'obbligo di richiamare, più recentemente gli scritti di Mario Fiorentini16 in argomento. Menzione meritano, poi, i lavori di Andrea Di Porto sulle res in usu publico, categoria diversa ma contigua, nei quali sono presenti molteplici spunti valevoli anche per le res communes omnium, in particolare, sotto il profilo della legittimazione ad agire - di natura popolare - degli interdetti a tutela dell'uso comune di questi beni, egli scritti di Laura Solidoro17, Paola Lambrini18, Marco Falcon19, Laura d'Amati20, e, assai di recente, il contributo monografico di Giovanni Carlo Seazzu21.

I testi fondamentali sono del giurista Marciano, il quale, nelle sue Istituzioni, dapprima afferma che vi sono cose comuni di tutti per diritto naturale, cose delle collettività, cose di nessuno e cose dei singoli che sono la gran parte22. Egli poi proseguiva affermando che per diritto naturale sono beni di tutti l'aria, l'acqua che scorre, il mare e in ragione di questo i lidi del mare23.

In primo luogo, si rende necessario chiarire come Marciano distinguesse questa categoria da quella delle res publicae, nella quale, per il giurista, tra le altre, rientrano fiumi e porti24. Il problema si poneva in quanto nell'elencazione di Marciano riportata nel Digesto non appare la menzione delle res publicae, poi, però, impiegata dal giurista nel prosieguo della sua esposizione. D'altra parte, il testo delle Istituzioni di Giustiniano25 in materia di divisio rerum, inequivocabilmente tratto dalle Istituzioni di Marciano, data la quasi totale coincidenza tra i testi26, reca la categoria delle res publicae giustapposta a quella delle res communes omnium. In sostanza, appare chiaro che Marciano distinguesse le res communes omnium dalle res publicae e la mancata menzione di queste ultime nella divisio rerum marcianea riportata nel Digesto pur di difficile spiegazione, potrebbe trovare ragione nella congettura secondo la quale i giustinianei avrebbero omesso il riferimento alle res publicae perché nella catena di testi in cui è incastonato il brano marcianeo, il riferimento alle medesime appariva qualche riga sopra. Né l'intervento era idoneo ad alterare il pensiero del giurista severiano sui beni, considerato che in un ulteriore brano dello stesso giurista, presumibilmente collocato qualche riga dopo rispetto all'elencazione delle diverse tipologie di res, appariva appunto un richiamo chiaro e inequivoco alle res publicae.

L'ulteriore domanda cui si deve rispondere è se quella delle res communes omnium in Marciano - comprendente aria, acqua che scorre, mare e a causa del mare il lido - debba considerarsi un'elencazione tassativa o, meramente esemplificativa. Mi è parso di trovare la risposta dall'analisi di un testo tratto sempre dal libro terzo delle Istituzioni marcianee, conservato nel Digesto poco dopo quello in esame e concernente le res universitatis27. Marciano ivi afferma che rientrano in questa categoria teatri, stadi e altri simili, similia. Proprio quest'ultima precisazione rende evidente come il giurista, in questo caso, stesse descrivendo un elenco aperto, laddove, ciò non emerge affatto con riferimento alle res communes omnium. Di più: la circostanza che per Marciano il lido rientri tra le cose comuni di tutti solo in quanto vi rientra il mare, pure, mi pare che deponga nella stessa direzione. Proprio l'attenzione terminologica dello scriptor iuris, mi pare consenta di rilevare come nel caso delle res communes omnium si trattasse di un elenco chiuso e tassativo, il che, peraltro, si mostra conforme alla peculiare natura di siffatti beni.

Si è, poi, notato come la categoria fosse spesso impiegata dagli imperatori per dirimere controversie tra pescatori e proprietari di ville litoranee. Leggiamo di rescritti imperiali, sia in Ulpiano, per il quale i suddetti intervennero saepissime28, sia in Marciano29. Si trattava di provvedimenti volti a impedire ai proprietari di ville litoranee di proibire l'accesso al lido per scopi di pesca. Tutto ciò pone in rilievo come le res communes omnium avessero una ben determinata portata pratica, ben lungi, dunque, dall'essere - come pure si è sostenuto30 - una categoria priva di rilievo pratico e frutto delle influenze filosofiche dei giuristi che la richiamano.

Dalla lettura dei testi richiamati, emerge, dunque, un profilo ben preciso: a nessuno poteva essere impedita la pesca in mare, benché si potesse vietare la pesca in piscine private. Vi è di più: altrettanto emerge con riferimento alla caccia degli uccelli. A tal proposito, giova segnalare come Ulpiano ricolleghi la natura communis omnium dell'aer proprio all'aucupatio, affermando, altresì, come non si possa vietare ad alcuno di praticare la caccia agli uccelli, benché si possa ostacolare l'accesso in un campo altrui31. Anche in questo caso, inoltre, vi è il ricordo di un rescritto dell'imperatore Antonino Pio che afferma come non fosse ragionevole - si badi - non vietato, andare a caccia di uccelli in terreni in proprietà privata32.

Se a ciò si aggiunge l'altra res rientrante nella categoria, l'aqua profluens, si coglie un primo centrale aspetto. Si trattava di res che la natura (di qui il riferimento al ius naturale, che però sottende anche una prospettiva più ampia, quella che potremmo definire giusnaturalismo romano33, di cui pure si coglie l'eco in Marciano34) aveva posto a disposizione di tutti gli uomini, per consentire loro di approvvigionarsi dei primordiali elementi per la sopravvivenza. Ecco, dunque, le necessità economiche cui tali beni rispondevano35.

Merita, poi, un'ulteriore riflessione il congegno predisposto dai giuristi romani per il perseguimento di questo scopo. Occorre segnalare, infatti, che dalle fonti emerge come tutto ciò che si trovasse su una res communis fosse una res nullius, il che ne consentiva la libera appropriazione a chi l'avesse materialmente appresa. È appena il caso di segnalare, infatti, che i pesci in mare erano res nullius e così gli uccelli nell'aer e gemmae e lapilli sui lidi. In ciò determinante era la natura communis omnium del luogo in cui questi beni si trovavano. Nelle fonti, con altrettanta nettezza, in forza del principio dell'accessione, leggiamo che ove un pesce si fosse trovato in una piscina privata, sarebbe stato del proprietario della piscina e così le gemmae rinvenute su un fondo in proprietà privata36.

È il momento, ora, di un coup de théâtre in senso stretto: infatti, il regime appena descritto viene per la prima volta enunciato in una commedia di Plauto, in un testo denso di riferimenti giuridici, che consente di osservare come lo statuto e lo schema di cui discutevano i giuristi romani, assai probabilmente, preesisteva alla loro elaborazione. Si tratta di un passaggio della Rudens37, che narra di un naufragio in mare e del successivo rinvenimento, tra i relitti, di uno scrigno pieno di gioielli. Quest'ultimo, per una mera casualità, viene trovato da un pescatore all'interno della sua rete.

Il proprietario della nave rivendica i gioielli affermandone la proprietà. Tuttavia, il pescatore, con argomentare capzioso, afferma come sia impensabile che si possa rivendicare un pesce pescato in mare, che appartiene a colui che lo pesca in quanto il mare è comune di tutti. Per la stessa ragione - prosegue il pescatore - nessuno potrebbe rivendicare la proprietà dello scrigno. È di tutta evidenza come il ragionamento si presenti surrettizio. Il baule, infatti, ha un preciso proprietario e si trova in maniera casuale in mare. Al di là di questi aspetti, però, quel che a noi interessa, è, da una parte, la precisione nell'impiego della terminologia giuridica da parte di Plauto (vi sono espressioni come adserere manum, occupatio, res nullius)38, ma, soprattutto, l'emersione dell'argomento già nel III/II secolo a.C., che poiché il mare è comune di tutti i pesci sono appropriabili da chiunque, cioè res nullius, ciò che, come abbiamo visto, si coglie nei giuristi attivi tra Adriano e i Severi tra il II e il III secolo d.C.

Va osservato, peraltro, che la commedia non si rivolgeva ad un pubblico di giuristi, ma per realizzare gli scopi suoi propri e cioè suscitare comicità, doveva alludere a nozioni e concetti noti all'uditorio: diversamente, non sarebbe riuscito il gioco dei doppi sensi e delle ambiguitá39. Alla luce di tanto, allora, si può avanzare la fondata ipotesi per la quale, non solo la categoria delle res communes omnium esistesse ben prima dell'elaborazione dei giuristi dell'apogeo della giurisprudenza romana, ma che essa e le regole cui dava luogo, con buona approssimazione, erano di natura consuetudinaria e fossero, poi, state soltanto affinate dai giuristi che ne avevano approntato uno statuto assai preciso. Emerge, dunque, che sin dall'epoca arcaica la configurazione del mare come res communis omnium avesse l'intento di garantire la libertà di pesca e, dunque, di soddisfare questa specifica esigenza economica.

Lo schema di cui si è detto, peraltro, appare confermato dal regime delle costruzioni sul lido e sul mare. Queste, infatti, divengono di colui che le ha edificate, ma i testi dei giuristi pongono in rilievo come si tratti di una peculiare forma di occupazione, essendo questi edifici considerati alla stregua di res nullius. In altre parole, per i giuristi e, soprattutto per Pomponio, l'atto di edificazione costituiva al tempo stesso l'occupatio della struttura, a mezzo della quale il costruttore ne diveniva proprietario40. Ciò è tanto più rilevante in quanto la costruzione non era di derivazione naturale. Alla luce di tanto, peraltro, si coglie come tali res avessero lo scopo di tutelare ben precise necessità di tipo economico.

Il problema delle costruzioni pone anche il tema della qualificazione della situazione giuridica che sorgeva sulla struttura e sulla superficie su cui poggiava.

I diversi testi dei giuristi romani che affrontano la questione, in effetti, forniscono una serie di indizi significativi. In primo luogo, non appare mai un riferimento al dominium ex iure Quiritium. Vengono, invece, utilizzate espressioni come eius fiet, meum fiat ed altre che rinviano a una situazione di fatto, non meglio configurata41.

Inoltre, viene più volte puntualizzato come la superfice su cui si era costruito tornava al pristino stato laddove la struttura fosse crollata42, a differenza di quanto avvenga su un suolo su cui si sia acquistata la proprietà, la quale, ovviamente, perdura a prescindere dall'insistenza su di esso di un edificio. Di più. Il giurista Pomponio ci informa in merito alla circostanza che a presidio di una siffatta costruzione non vi fossero azioni fondate sul ius civile e, dunque, la rei vindicatio, ma che si poteva ricorrere anche alle vie di fatto43. Il giurista Cervidio Scevola riguardo a una casa costruita sul lido parla di casa posseduta44. Ancora. Il giurista Paolo ci informa che si poteva ricorrere all'interdetto uti possidetis45, strumento concesso dal pretore, a tutela, per l'appunto, del possesso.

Sembrerebbe, pertanto, profilarsi una forma possessoria dai tratti peculiari, in quanto - come pure apprendiamo da Papiniano46 - non dava luogo alla praescriptio longae possessionis, un rimedio processuale che aveva le conseguenze dell'usucapione. Si trattava, cioè, di un possesso che non sfociava mai in proprietà. La ragione di tutto ciò si coglie ancora una volta, a mio modo di vedere, nella necessità di impedire che taluno potesse essere escluso in assoluto dal godimento di siffatti beni.

Proprio sotto il profilo della costruzione, poi, emerge, come lo statuto della categoria sia stato fissato anche attraverso una progressiva differenziazione in seno alle res publicae. La costruzione su un luogo pubblico era impedita a meno che non fosse stata autorizzata47, diversamente da quella sul lido, invece, in linea di principio libera48. Peraltro, ove consentita, la costruzione su una res publica, determinava l'onere in capo al costruttore di versare un vectigal periodico all'erario, in quanto la costruzione accedeva al suolo ed era essa stessa res publica49. Diversamente, come abbiamo osservato, l'edificio costruito sul lido era di colui che lo aveva costruito non trovando applicazione il principio dell'accessione e ciò proprio in quanto non vi era un proprietario del suolo. In sostanza si coglie come alcuni profili delle res communes omnium si definiscano per differenziazione da quella delle res publicae.

Avendo riguardo ai profili rimediali dalla prospettiva dei terzi, invece, emerge chiaramente che gli strumenti di tutela previsti per le res publicae venivano applicati in via analogica - a ulteriore riprova, peraltro, della diversitá di natura tra le due categorie di res - per le res communes omnium: mi riferisco, in particolare, all'interdetto ne quid in loco publico facias50 e all'interdetto concernente la navigazione dei fiumi51, res publicae, che veniva esteso alla navigazione in mare, res communis. In altre parole, in presenza di una medesima ratio da tutelare, i giuristi estendevano alle res communes omnium i rimedi previsti per i beni pubblici. Si trattava di strumenti volti a impedire il deterioramento nelle condizioni di utilizzo del lido e del mare. Avevano natura proibitoria, e, probabilmente, anche restitutoria ed erano a legittimazione popolare, benché si riconoscesse una legittimazione privilegiata a chi avesse in concreto subito un danno dalla costruzione sul lido o in mare. Agli interdetti si affiancava un ulteriore strumento, l'actio iniuriarum. Non si trattava, a ben vedere, di uno strumento in concorso con gli interdetti, ma di un rimedio da esperire in presenza di una diversa fattispecie. Emerge, cioè, che mentre si ricorreva all'interdetto in presenza di una struttura che avesse determinato l'incommodum, diversamente si ricorreva all'actio iniuriarum a fronte di una condotta rivolta contro la persona diretta ad impedire l'accesso al mare e al lido52.

CONCLUSIONI

In definitiva, dalla lettura dei testi emerge, a mio modo di vedere, che i beni naturali, rectius, le risorse naturali sono di tutti, il che consentiva a ciascuno di avere il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Tuttavia, proprio questa circostanza ha quale ulteriore conseguenza che nessuno potesse farne un uso tale da escluderne gli altri o, anche solo, da deteriorare le condizioni di utilizzabilitá degli altri; in ragione di tanto, su tali beni non poteva sussistere un diritto di proprietà, ma soltanto forme di appartenenza di fatto, peraltro compatibili con l'usus omnium hominum.

In conclusione, dunque, mi pare, pur con le cautele del caso, di poter affermare come la categoria delle res communes omnium sia stata la forma giuridica creata dai romani per impedire l'abuso da parte di taluno sulle risorse naturali e ha consentito, forse per un'eterogenesi dei fini, e pur in assenza, evidentemente, di una sensibilità 'ambientalista' modernamente intesa, anche la salvaguardia di una condizione di equilibrio tra uomo e natura.

Alla luce di tanto, un'ultima considerazione: è senz'altro irragionevole, per non dire antistorico, ipotizzare un'applicazione 'attuale' della categoria marcianea delle res communes omnium, e, del pari, pure vanno segnalate le differenze tra questa e le odierne nozioni di beni comuni: si pensi, tra le altre possibili, al rilievo che tali ultimi, assai spesso, vengono richiamati come strumenti volti alla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, nozione difficilmente riconducibile - nonostante qualche tentativo di segno contrario53- all'esperienza giuridica romana54.

Tuttavia, la nozione marcianea può senz'altro offrire utili spunti di riflessione in un momento nel quale l'esigenza di un rapporto equilibrato tra uomo e natura appare sempre più avvertita al fine di garantire un futuro al nostro Pianeta; ma, soprattutto, le res communes omnium possono fornire un valido contributo alla comprensione critica della categoria odierna dei beni comuni55, che è - a ben vedere - il compito proprio degli studiosi del diritto romano.


NOTAS

2 Su questi temi si rinvia a José Luis Zamora Manzano, Precedentes romanos sobre el derecho ambiental. La contaminación de aguas, canalización de las aguas fecales y la tala ilícita forestal, Madrid: Edisofer, 2003; Laura Solidoro Maruotti, La tutela dell'ambiente nella sua evoluzione storica. L'esperienza del mondo antico, Torino: Giappichelli, 2009, Andrea di Porto, Salubritas e forme di tutela in età romana. Il ruolo del civis, Torino: Giappichelli, 2014. Si vedano anche i contributi di Salvador Ruiz Pino, "La protección de los recursos naturales y de la 'salubritas' en Roma: posibles precedentes históricos del derecho administrativo medioambiental", in Hacia un derecho administrativo, fiscal y medioambiental romano, vol. II, Madrid: Dykinson, 2013, pp. 413 y ss.; Maria José Bravo Bosch, "La relación del mundo romano con el medioambiente", in Hacia un derecho administrativo, fiscal y medioambiental romano, vol. III, Madrid: Dykinson, 2016, p. 173 ss.; María José Bravo Bosch, "La regulación romana de la actividad industrial de lavanderías y tintorerías" in Hacia un derecho administrativo, fiscal y medioambiental romano, vol. IV, n.° 1, Madrid: Dykinson, 2021, pp. 579 y ss.; Salvador Ruiz Pino, "Nuevas perspectivas en torno a la experiencia administrativa medioambiental romana", in Hacia un derecho administrativo, fiscal y medioambiental romano, vol. IV, n.° 1, Madrid: Dykinson, 2021, pp. 669 y ss.; Gema Vallejo Pérez, "Regulación medioambiental: salus per aquam" in Hacia un derecho administrativo, fiscal y medioambiental romano, vol. IV, n.° 1, Madrid: Dykinson, 2021, pp. 717 y ss.
3 S.U. n. 3811 del 2011.
4 Lucr. de rer. nat., 1,149; 1, 205; 2,287.
5 Si tratta del decreto del Ministro della Giustizia del 14 giugno 2007.
6 Gli esiti dei lavori furono discussi in un convegno organizzato dall'Accademia Nazionale dei Lincei il 22 aprile del 2008, i cui atti possono leggersi ora nel volume Ugo Mattei, Edoardo Reviglio, Stefano Rodotà, I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei, 2010.
7 La definizione si può leggere nella relazione di accompagnamento del disegno di legge 2031 presentato al Senato nel febbraio 2010, nel corso della XVI legislatura, oltreché nel comma tre lettera c dell'art. 1 della stessa (p. 9.), consultabile al seguente link: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/217244.pdf (consultato il 19/02/2023).
8 Andrea di Porto, Res in usu publico, Torino: Giappichelli, 2013, p. 49; "I beni comuni in cerca di identità e tutela", Dialoghi con Guido Alpa. Un volume offerto in occasione del suo LXXI compleanno, Roma: Somma, Fusaro, Conte, Zeno Zencovich (a cura di), Romatre press, 2018, p. 166.
9 Stefano Rodotà, "Il valore dei beni comuni", la Repubblica, n.° 5 gennaio 2012, p. 26.
10 In tal senso Mario Fiorentini, "Res communes omnium e commons. Contro un equivoco", Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano, vol. 113, 2019, pp. 75 y ss.; Gianni Santucci, "'Beni comuni'. Note minime di ordine metodologico", Koinonia, vol. 44, n.° 2, 2020, pp. 1395 y ss.
11 Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017.
12 Theodor Mommsen, "Sopra una iscrizione scoperta in Frisia", Bullettino dell'Istituto di diritto romano, vol. 2,1889, pp. 129 y ss., part. p. 131.
13 Ubaldo Robbe, La differenza sostanziale tra "res nullius" e "res nullius in bonis" e la distinzione delle "res" pseudo-maricanee "che non ha né capo né coda", Milano: Giuffré, 1979.
14 Giuseppe Branca, Le cose extra patrimonium humani iuris, Trieste: Edizioni Universitarie, 1941, pp. 226 y ss.
15 Su questa vicenda Antonio Masi, "L'opera di Giuseppe Branca. In appendice: Salvatore Di Marzio, Lauro Chiazzese, Giorgio La Pira, 'Relazione della Commissione giudicatrice per la promozione del professore Giuseppe Branca a ordinario di Istituzioni di diritto romano nella R. Università di Trieste'", Index, vol. 34, 2006, pp. 21 y ss., part. p. 34 s.
16 Ex multis, Mario Fiorentini, Fiumi e mari nell'esperienza giuridica romana, Milano: Giuffré 2003; "L'acqua da bene economico a 'res communis' a bene collettivo", Analisi giuridica dell'economia, vol. 9, n.°1, 2010, pp. 39 y ss.; "Spunti volanti in margine al problema dei beni comuni", Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano, vol. 111, 2017, pp. 75 y ss.; "Res communes omnium e commons. Contro un equivoco", Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano, vol. 113, 2019, pp. 153 y ss.
17 Laura Solidoro Maruotti, La tutela dell'ambiente nella sua evoluzione storica. L'esperienza del mondo antico, Torino: Giappichelli, 2009; "Il civis e le acque", Index, vol. 39, 2011, pp. 236 y ss.
18 Paola Lambrini, "Alle origini dei beni comuni" Iura, vol. 65, 2017, pp. 85 y ss.; "Alle origini dei beni comuni", in I beni di interesse pubblico nell'esperienza giuridica romana, I, Napoli: Garofalo (a cura di), Jovene, 2016, pp. 394 y ss.; da ultimo, "Per un rinnovato studio della tradizione manoscritta del Digesto: il caso di aer nell'elencazione delle res communes omnium", Koinonia, vol. 44, n.° 1, 2020, pp. 817 y ss.
19 Marco Falcon, "'Res communes omnium'. Vicende storiche e interesse attuale di una categoria romana", in I beni di interesse pubblico nell'esperienza giuridica romana, I, Napoli: Garofalo (a cura di), 2016, p. 107; "'Res communes omnium' e diritto dell"outer space' Contributo al dialogo sulla 'Roman Space Law'", Teoria e Storia del Diritto Privato, n.° 12, 2019, consultabile al link https://www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com/wp-content/uploads/2021/12/2019_Contributi_Falcon.pdf.
20 Laura D'amati, "Aedificatio in litore" in I beni di interesse pubblico nell'esperienza giuridica romana, I, Napoli: Garofalo (a cura di), 2016, p. 645 ss.; "Brevi riflessioni in tema di res communes omnium e litora maris, in Scritti per Alessandro Corbino, II, Tricase (LE): Piro (a cura di), Edizioni Libellula, 2016, pp. 333 y ss.
21 Giovanni Carlo Seazzu, Res communes omnium oggi. Il paradosso dominante e il ripensamento necessario, Bari: Cacucci, 2020.
22 Marc. 3 inst. D. 1.8.2 pr.: "Quaedam naturali iure communia sunt omnium, quaedam universitatis, quaedam nullius, pleraque singulorum, quae variis ex causis cuique adcjuiruntur".
23 Marc. 3 inst. D. 1.8.2.1: "Et quidem naturali iure omnium communia sunt illa: aer, aqua profluens, et mare, et per hoc litora maris". Da segnalare come Paola Lambrini, "Per un rinnovato studio della tradizione manoscritta del Digesto: il caso di aer nell'elencazione delle res communes omnium", Koinonia, vol. 44, n.° 1, 2020, p. 825, rileva l'assenza di aer in tutti i più antichi testimoni della littera Bononiensis.
24 Marc. 3 inst. D. 1.8.4.1: "Sed flumina paene omnia et portus publica sunt".
25 Inst. 2.1pr.: "Superiore libro de iure personarum exposuimus: modo videamus de rebus. quae vel in nostro patrimonio vel extra nostrum patrimonium habentur. quaedam enim naturali iure communia sunt omnium, quaedam publica, quaedam universitatis, quaedam nullius, pleraque singulorum, quae variis ex causis cuique adquiruntur, sicut ex subiectis apparebit".
26 Sul punto mi sia consentito rinviare a Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017, p. 7; Aelius Marcianus Institutionum, Libri I-V, Roma: L'Erma di Bertschneider, Schiavone (dir.) Scriptores Iuris Romani coll., 2019, pp. 80, 151 y ss., ove si prospetta come il testo delle Istituzioni giustinianee potesse presentarsi più conforme all'originale marcianeo rispetto a quello del Digesto. Di diverso avviso Raffaele Basile, "Res communes omnium: tra Marciano e Giustiniano", Koinonia, vol. 44, n.° 1, 2020, p. 119 ss., per il quale in Marciano non vi sarebbe una frattura concettuale tra beni di tutti e beni pubblici in quanto il giurista avrebbe sciolto la categoria delle res publicae in quella delle res communes omnium e in quella delle res universitatis. Diversi argomenti ostano, a mio modo di vedere, all'accoglimento di una tale impostazione. A voler trascurare gli altri, basti pensare che se il giurista avesse voluto eliminare la categoria delle res publicae dalla classificazione, ben difficilmente l'avrebbe impiegata poco dopo per specificare la natura dei fiumi e dei porti. D'altra parte, sarebbe pure difficile spiegare gli esempi richiamati (a volerli considerare congiuntamente, mare, aria, acqua che scorre, lido, teatri e stadi delle città), a fronte di altri ben più significativi. Si pensi alle vie pubbliche. Infine, pur non trattandosi di argomentazione decisiva, occorre rilevare come Ulpiano, che pure richiama le res communes omnium includendovi pressoché le medesime res di Marciano, individua una diversa disciplina per le res publicae. Sembra difficile ipotizzare che nello stesso torno di tempo emergesse dagli scritti di due giuristi una netta divergenza nella disciplina delle due categorie di res. D'altra parte, in tutti i giuristi che se ne occupano - anche quelli che li qualificano res publicae - il lido e il mare presentano una disciplina diversa da quella delle altre res publicae.
27 Marc. 3 inst. D. 1.8.6.1: "Universitatis sunt non singulorum veluti quae in civitatibus sunt theatra et stadia et similia et si qua alia sunt communia civitatium. ideoque nec servus communis civitatis singulorum pro parte intellegitur, sed universitatis et ideo tam contra civem quam pro eo posse servum civitatis torqueri divi fratres rescripserunt. ideo et libertus civitatis non habet necesse veniam edicti petere, si vocet in ius aliquem ex civibus".
28 Ulp. 57 ad ed. D. 47.10.13.7: "[…] si quem tamen ante aedes meas vel ante praetorium meum piscari prohibeam, quid dicendum est? me iniuriarum iudicio teneri an non? et quidem mare commune omnium est et litora, sicuti aer, et est saepissime rescriptum non posse quem piscari prohiberi: sed nec aucupari, nisi quod ingredi quis agrum alienum prohiberi potest. usurpatum tamen et hoc est, tametsi nullo iure, ut quis prohiberi possit ante aedes meas vel praetorium meum piscari: quare si quis prohibeatur, adhuc iniuriarum agi potest. in lacu tamen, qui mei dominii est, utique piscari aliquem prohibere possum".
29 Marc. 3 inst. D. 1.8.4 pr.: "Nemo igitur ad litus maris accedere prohibetur piscandi causa, dum tamen villis et aedificiis et monumentis abstineatur, quia non sunt iuris gentium sicut et mare: idque et divus Pius piscatoribus Formianis et Capenatis rescripsit".
30 Ex multis, Alfred Pernice, "Die sogenannten 'res communes omnium'", in Festgabe für Heinrich Dernburg, Berlin: H. W. Müller, 1900, p. 11; Paul Sokolowsky, Die Philosophie im Privatrecht, Halle: Niemeyer, 1902, pp. 43 y ss.; Pietro Bonfante, Corso di diritto romano. La proprietà, vol. I, Roma: Società Editrice del Foro Italiano, 1926, pp. 51 y ss.
31 Ulp. 57 ad ed. D. 47.10.13.7 riportato supra.
32 Call. 3 de cogn. D. 8.3.16: "Divus Pius aucupibus ita rescripsit: οὐκ ἔστιν εὔλογον ἀκόντων τῶν δεσποτῶν ὑμᾶς ἐν ἀλλοτρίοις χωρίοις ἰξεύειν”.
33 In tal senso Aldo Schiavone, Ius. L'invenzione del diritto in Occidente, Torino: Einaudi 2017, pp. 275 y ss., il quale pone in rilievo come in più luoghi Ulpiano, Fiorentino e Trifonino affermino come la schiavitù sia contraria alla natura o al diritto naturale e sia frutto del diritto delle genti. Al riguardo, si vedano Ulp. 1 inst. D. 1.1.4: "Manumissiones quoque iuris gentium sunt. est autem manumissio de manu missio, id est datio libertatis: nam quamdiu quis in servitute est, manui et potestati suppositus est, manumissus liberatur potestate. quae res a iure gentium originem sumpsit, utpote cum iure naturali omnes liberi nascerentur nec esset nota manumissio, cum servitus esset incognita: sed posteaquam iure gentium servitus invasit, secutum est beneficium manumissionis. et cum uno naturali nomine homines appellaremur, iure gentium tria genera esse coeperunt: liberi et his contrarium servi et tertium genus liberti, id est hi qui desierant esse servi"; Ulp. 43 ad Sab. D. 50.17.32: "Quod attinet ad ius civile, servi pro nullis habentur: non tamen et iure naturali, quia, quod ad ius naturale attinet, omnes homines aequales sunt". Flor. 9 inst. D. 1.5.4.1: "Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur". Tryph. 7 disp. D. 12.6.64: "Si quod dominus servo debuit, manumisso solvit, quamvis existimans ei aliqua teneri actione, tamen repetere non poterit, quia naturale adgnovit debitum: ut enim libertas naturali iure continetur et dominatio ex gentium iure introducta est, ita debiti vel non debiti ratio in condictione naturaliter intellegenda est".
34 Domenico Dursi, Aelius Marcianus Institutionum, Libri I-V, Roma: L'Erma di Bertschneider, Schiavone (dir.) Scriptores Iuris Romani coll., 2019, pp. 56 y ss., ove si evidenzia come pure Marciano si trovi l'affermazione per la quale la schiavitù sia radicata nel diritto delle genti o nel diritto civile (Marc. 1 inst. D. 1.5.5.1: "Servi autem in dominium nostrum rediguntur aut iure civili autgentium: iure civili, si quis se maior viginti annis ad pretium participandum venire passus est: iure gentium servi nostri sunt, qui ab hostibus capiuntur aut qui ex ancillis nostris nascuntur") non già nel diritto naturale, categoria pure nota al giurista, considerato che in questo egli individua il fondamento delle res communes omnium.
35 Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017, p. 64.
36 Ibid.
37 Rud. 969 - 975: "[Grip.]: Dominus huic, ne frustra sis, nisi ego nemo natust, hunc qui cepi in venatu meo. [Trac.] Itane vero? [Grip.] Ecquem esse dices in mari piscem meum? Quos cum capio, liquide cepi, mei sunt; habeo pro meis, nec manu adseruntur neque illinc partem quisquam postulat. In foro palam omnes vendo pro meis venalibus. Mare quidem commune certost omnibus ".
38 Si veda, al riguardo, da ultimo Maria Virginia Sanna, "Plauto. Rudens" in Le parole del diritto. L'età arcaica, Cagliari: Edizioni AV, 2016, pp. 324 y ss.; con specifico riferimento al frammento, p. 336; inoltre si vedano i contributi di Luigi Pellecchi, Per una lettura giuridica della Rudens di Plauto, Parma: Casanova, 2012, ora in Athenaeum, vol. 101, 2013, pp. 103 y ss.; ma già Michèle Ducos, "Justice et droit dans le Rudens", in Une Journèe à Cyrène. Lecture du Rudens de Plaute, Presses universitaires de la Méditerranée, Montpellier: Delignon, Lucani, Paré - Rey, (a cura di), 2011, pp. 157 y ss.; con specifico riguardo al diritto marittimo, Nicole Charbonnel, "Aux sources du droit maritime à Rome: le Rudens de Plaute et le droit d'epaves", Revue historique de droit français et étranger, vol. 73, 1995, pp. 303 y ss. Da ultimo Daniela di Ottavio, "Riflessioni a margine di Plaut., Rud. 973 nec manu adseruntur neque illinc partem quisquam postulat" Iura et legal system, vol. 6, n.° 4,2019, pp. 72 y ss.
39 Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Torino: Einaudi 2010, p. 13; Oliviero Diliberto, "Ut carmen necessarium (Cic. leg. II 59). Apprendimento e conoscenza della legge delle XII Tavole nel I sec. a C"., in Letteratura e civitas. Transizioni dalla Repubblica all'Impero, Pisa: Edizioni ETS, 2012, pp. 141 y ss., part. 157; Oliviero Diliberto, "La satira e il diritto: una nuova lettura di Horat., sat. 1,3,115-117", Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Palermo, vol. 55, 2012, pp. 387 y ss., part. p. 402.
40 Si vedano, in particolare, Pomp. 6 ex Plaut. D. 1.8.10: "Aristo ait, sicut id, quod in mare aedificatum sit, fieret privatum, ita quod mari occupatum sit, fieri publicum"; Pomp. 6 ex Plaut. D. 41.1.50: "Quamvis quod in litore publico vel in mari exstruxerimus, nostrum fiat, tamen decretum praetoris adhibendum est, ut id facere liceat: immo etiam manu prohibendus est, si cum incommodo ceterorum id faciat: nam civilem eum actionem de faciendo nullam habere non dubito". Per i testi di altri giuristi attivi tra Adriano e i Severi si rinvia a Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017, pp. 65 y ss.
41 Ex multis, Ner. 5 membr. D. 41.1.14 pr.: "Quod in litore quis aedificaverit, eius erit: nam litora publica non ita sunt, ut ea, quae in patrimonio sunt populi, sed ut ea, quae primum a natura prodita sunt et in nullius adhuc dominium pervenerunt: nec dissimilis condicio eorum est atque piscium et ferarum, quae simul atque adprehensae sunt, sine dubio eius, in cuius potestatem pervenerunt, dominii fiunt"; Cels. 39 dig. D. 43.8.3.1: "Maris communem usum omnibus hominibus, ut aeris, iactasque in id pilas eius esse qui iecerit: sed id concedendum non esse, si deterior litoris marisve usus eo modo futurus sit"; Ulp. 52 ad ed. D. 39.1.1.18: "Quod si quis in mare vel in litore aedificet, licet in suo non aedificet, iure tamen gentium suum facit: si quis igitur velit ibi aedificantem prohibere, nullo iure prohibet, neque opus novum nuntiare nisi ex una causa potest, si forte damni infecti velit sibi caveri".
42 Ner. 5 membr. D. 41.1.14.1: "Illud videndum est, sublato aedificio, quod in litore positum erat, cuius condicionis is locus sit, hoc est utrum maneat eius cuius fuit aedificium, an rursus in pristinam causam reccidit perindeque publicus sit, ac si numquam in eo aedificatum fuisset. quod propius est, ut existimari debeat, si modo recipit pristinam litoris speciem" Marc. 3 inst. D. 1.8.6 pr.: "in tantum, ut et soli domini constituantur qui ibi aedificant, sed quamdiu aedificium manet: alioquin aedificio dilapso quasi iure postliminii revertitur locus in pristinam causam, et si alius in eodem loco aedificaverit, eius fiet".
43 Pomp. 6 ex Plaut. D. 41.1.50. Vedi supra.
44 Scev. 5 resp. D. 19.1.52.3: "Ante domum mari iunctam molibus iactis ripam constituit et uti ab eo possessa domus fuit, Gaio Seio vendidit: quaero, an ripa, quae ab auctore domui coniuncta erat, ad emptorem quoque iure emptionis pertineat. respondit eodem iure fore venditam domum, quo fuisset priusquam veniret".
45 Paul. 30 ex Plaut. D. 47.10.14: "Sane si maris proprium ius ad aliquem pertineat, uti possidetis interdictum ei competit, si prohibeatur ius suum exercere, quoniam ad privatam iam causam pertinet, non ad publicam haec res, utpote cum de iure fruendo agatur, quod ex privata causa contingat, non ex publica. ad privatas enim causas accommodata interdicta sunt, non ad publicas".
46 Pap. 3 quaest. D. 41.3.45 pr.: "Praescriptio longae possessionis ad optinenda loca iuris gentium publica concedi non solet. quod ita procedit, si quis, aedificio funditus diruto quod in litore posuerat (forte quod aut deposuerat aut dereliquerat aedificium), alterius postea eodem loco extructo, occupantis datam exceptionem opponat, vel si quis, quod in fluminis publici deverticulo solus pluribus annis piscatus sit, alterum eodem iure prohibeat".
47 Ulp. 68 ad ed. D. 43.8.2 pr.: "Praetor ait: "Ne quid in loco publico facias inve eum locum immittas, qua ex re quid illi damni detur, praeterquam quod lege senatus consulto edicto decretove principum tibi concessum est. de eo, quod factum erit, interdictum non dabo". Per argomentazioni più estese, si veda Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017, pp. 92 y s.
48 Ulp. 52 ad ed. D. 39.1.1.18. Vedi supra.
49 Ad esempio, ciò apprendiamo da Ulp. 44 ad Sab. D. 18.1.32: "Qui tabernas argentarias vel ceteras quae in solo publico sunt vendit, non solum, sed ius vendit, cum istae tabernae publicae sunt, quarum usus ad privatos pertinet".
50 Ulp. 68 ad ed. D. 43.8.2.8: "Adversus eum, qui molem in mare proiecit, interdictum utile competit ei, cui forte haec res nocitura sit: si autem nemo damnum sentit, tuendus est is, qui in litore aedificat vel molem in mare iacit. Il frammento, è appena il caso di segnalare, si trova nel titolo dedicato al commento dell'interdetto ne quid in loco publico facias ed è a questo che si fa riferimento nel testo".
51 Ulp. 68 ad ed. D. 43.12.1.17: "Si in mari aliquid fiat, Labeo competere tale interdictum: 'ne quid in mari inve litore' 'quo portus, statio iterve navigio deterius fiat'".
52 Su tutto ciò, ancora una volta, sia consentito rinviare a Domenico Dursi, Res communes omnium. Dalle necessità economiche alla disciplina giuridica, Napoli: Jovene, 2017, pp. 113 y ss.
53 Ex variis, Giuliano Crifó, Libertà e uguaglianza in Roma antica. L'emersione storica di una vicenda istituzionale, Roma: Bulzoni, 1984, p. 315; "Per una prospettiva romanistica dei diritti dell'uomo", Diritto romano attuale, vol. 12, 2004, pp. 155 y ss.; Tony Honoré, Ulpian. Pioneer of human rights, New York: Oxford University press, 2002, pp. 76 y ss.
54 Ex multis Mario Talamanca, "L'antichità e i diritti dell'uomo", Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Atti dei Convegni Lincei, 174, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei, 2001, pp. 41 y ss.; Aldo Schiavone, Ius. L'invenzione del diritto in Occidente, Torino: Einaudi 2017, pp. 396 y ss.
55 Gianni Santucci, "'Beni comuni'. Note minime di ordine metodologico", Koinonia, vol. 44, n.° 2, 2020, p. 1396.


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