Fondamenti teorici della responsabilità dei magistrati

Fundamentos teóricos de la responsabilidad de los magistrados

Theoretical Foundations of the Responsibility of Magistrates

Luca Longhi1

1 Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università Telematica Pegaso, Napoli, Italia. Dottore di ricerca in Diritto dell'Economia presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, Italia. Correo-e: luca.longhi@unipegaso.it. Enlace Orcid: https://orcid.org/0000-0001-5066-8437. Fecha de recepción: 16 de noviembre de 2023. Fecha de modificación: 12 de abril de 2024. Fecha de aceptación: 10 de mayo de 2024. Para citar el artículo: Longhi, Luca, "Fondamenti teorici della responsabilità dei magistrati", Revista digital àe Derecho Administrativo, Universidad Externado de Colombia, n.° 32, 2024, pp. 135-146. DOI: https://doi.org/10.18601/21452946.n32.06.


SINTESI

Nel presente articolo si proverà a riflettere sui fondamenti della responsabilità dei magistrati, in relazione alla corrispondenza che intercorre tra potere e responsabilità nello Stato di diritto, e in particolare sulla legittimazione del potere giudiziario nel marco istituzionale dei nostri giorni. Si farà riferimento specifico all'ordinamento italiano, cercando, tuttavia, di rimanere su un piano prevalentemente astratto, cosi da svolgere, per quanto possibile, considerazioni munite di validità anche su un piano più generale, legate all'esigenza di più e migliori meccanismi d'accountability per i giudici e di riforme organiche per consolidare la credibilità dei poteri pubblici.

Parole-chiave: diritto, organizzazione della giustizia, riforma giudiziaria, accountability, giurisdizione, indipendenza della giustizia.


RESUMEN

En este artículo intentaremos reflexionar sobre los fundamentos de la responsabilidad de los magistrados, en relación con la correspondencia entre poder y responsabilidad en el Estado de derecho, y en particular sobre la legitimación del poder judicial en el marco institucional actual. Se hará referencia específica al ordenamiento jurídico italiano, intentando, sin embargo, permanecer en un nivel predominantemente abstracto, para llevar a cabo, en la medida de lo posible, consideraciones que también sean válidas a un nivel más general, relacionadas con la necesidad de más y mejores mecanismos de responsabilidad para los jueces y de reformas orgánicas para consolidar la credibilidad de los poderes públicos.

Palabras clave: derecho, organización de la justicia, responsabilidad, reforma judicial, jurisdicción, independencia de la justicia.


ABSTRACT

This paper examines the foundations of the responsibility of magistrates, in relation to the correspondence between power and accountability under the rule of law, particularly regarding the legitimacy of judicial power within today's institutional framework. Although specific references will be made to the Italian legal system, the analysis aims to remain predominantly abstract to provide insights applicable more generally. The paper will address the need for enhanced accountability mechanisms for judges and structural reforms to strengthen the credibility of public authorities.

Keywords: Law, Organization of Justice, Accountability, Judicial Reform, Jurisdiction, Judicial Independence.


INTRODUZIONE. LA CRISI DELLA LEGGE E IL BINOMIO POTERE-RESPONSABILITÀ

Il tema della responsabilità correlata all'esercizio della giurisdizione - e, in particolare, della responsabilità disciplinare dei magistrati, che costituisce una dimensione assolutamente peculiare del fenomeno2 - non finisce mai di suscitare spunti di riflessione, di pari passo con gli sviluppi offerti da una realtà in continua evoluzione.

I sempre maggiori ambiti occupati dalla giurisdizione per effetto della crisi della legge accrescono necessariamente le responsabilità, a vari livelli considerate, dello Stato e di chi è chiamato ad amministrare una delicata funzione "in nome del popolo".

Tuttavia, a fronte di una apparentemente ovvia constatazione, che prende atto di una tendenza in essere già da diversi decenni, ben nota al dibattito dottrinale, non si può dire che nel nostro ordinamento si siano andati finora ad affermare meccanismi giuridici efficaci, in grado, cioè, di far valere in una dimensione di effettività la corrispondenza naturale che deve intercorrere in un ordinamento democratico tra potere e responsabilità3.

Ne scaturisce un contesto che, a dispetto della complessità e dell'avanzato grado di progresso raggiunto dalla normazione (o forse proprio per questo, come si vedrà), lascia ampi spazi alla discrezionalità dell'interprete, che non svolge più ormai un'attività di mera applicazione della legge, spingendosi non di rado oltre i limiti connaturati al concetto di giurisdizione (che per definizione è, prima di tutto, un dicere ius4).

Nel quadro dell'attivismo giudiziario che si è venuto a profilare, al di là di ogni sterile polemica politica o corporativa che in questa sede non ci interessa cavalcare, ritrova vigore l'antica questione della certezza del diritto5, logorata dai processi giuridico-istituzionali sommariamente descritti, con un risultato di disorientamento per i consociati, privati, nei fatti, di riferimenti tradizionali.

II richiamato logorio dell'idea di certezza del diritto, sulla quale si fonda in astratto l'intero edificio giuridico, concepito proprio per assicurare una pacifica convivenza alla collettività, rischia solo di generare, in queste proporzioni, litigiosità e frammentazione di quella coesione sociale (leggi anche solidarietà6), che dovrebbe costituire il vero collante del nostro stare insieme.

Ecco perché, molto oltre l'annosa querelle positivista nell'ordinamento costituzionale (che pure si colloca naturalmente sullo sfondo del nostro ragionamento e sulla quale si avrà, comunque, modo di tornare infra), diviene urgente porre il tema della responsabilità del giudicare, che si arricchisce di ulteriori significati nel panorama attuale, alla luce di presupposti rinnovati.

Prima di addentrarci nel vivo degli argomenti presi in esame, occorre precisare che gli stessi saranno approcciati in questa sede avuto prioritariamente riguardo all'esperienza ordinamentale italiana, senza scendere troppo nei dettagli minuti della disciplina nazionale, ma cercando, se possibile, di ricavarne considerazioni di più ampio respiro teorico, valide anche fuori dei ristretti confini statuali, a maggior ragione in uno scenario globale come quello nel quale ci troviamo a vivere.

1. CRISI DEL LEGISLATORE E SUPPLENZA GIUDIZIARIA

Come si è avuto occasione di osservare nel paragrafo precedente, l'accresciuto peso specifico della magistratura è corrisposto ad un progressivo indebolimento della funzione legislativa dipeso dalla crisi dell'istituzione parlamentare, così come anche dalla perdita di centralità della legge nel sistema delle fonti maturata sin dall'instaurazione di un ordinamento a Costituzione rigida.

Ne deriva, dunque, un indebolimento complessivo della figura stessa del legislatore, personaggio inanimato con il quale si identifica tradizionalmente l'esercizio della funzione legislativa, in quanto sublimazione della volontà generale di cui è espressione privilegiata e diretta il Parlamento (cfr. art. 70 Cost.), quale sede ideale della rappresentanza democratica.

A questa personificazione astratta va a sostituirsi, invece, la figura, ben più concreta ed umana, del giudice, sempre più spesso chiamato a dare contenuto reale alle clausole generali della legge o ad occupare, con la propria attività discrezionale, gli spazi di un ordinamento che si presenta oggi oltremodo frammentario e lacunoso7.

È evidente che da una tale sostituzione debbano conseguire maggiori responsabilità in capo a chi amministra la giurisdizione, facendo uso di margini operativi più ampi rispetto all'originaria connotazione della funzione o, addirittura, con la pretesa, rivendicata a varie riprese da correnti interne alla magistratura nel corso dei decenni, di dar voce in prima persona ai principi della Costituzione, pur in assenza della necessaria mediazione legislativa.

La mediazione della legge - con tutti i correttivi, evidentemente, previsti dall'ordinamento - si rende necessaria, reclamando per definizione la volontà progettuale dei Costituenti un'indispensabile opera di attuazione da parte del legislatore8.

D'altro canto, sarebbe pericoloso - oltre che decisamente contrario agli orizzonti garantisti della Carta - pensare di affidare l'attuazione dei principi costituzionali a soggetti privi di responsabilità immediate nei confronti della collettività (in quanto sprovvisti di un'investitura diretta da parte del corpo elettorale9), titolari di un potere diffuso (cfr. art. 107 Cost.), tanto più in mancanza di riferimenti normativi certi cui poter ancorare la propria attività (cfr. art. 111 Cost.).

È singolare, invece, che, per alcune evoluzioni del dibattito pubblico, si finisca talora per pensare che il giudice (irresponsabile, nell'accezione sopra descritta) possa rappresentare di per sé - proprio perché espressione di un potere "non maggioritario"10 - un elemento di maggiore garanzia nell'attuazione di quella giustizia sostanziale rispetto alla legge stessa, prodotto qualificato della sede democratica per eccellenza, ovvero il Parlamento.

Non si vuole discutere qui della portata precettiva delle norme costituzionali (questione, in larga misura, superata sin dalla sentenza n. 1/1956 della Consulta), quanto piuttosto provare a promuovere un corretto esercizio della funzione legislativa, nei termini di qualità che le sono richiesti dalla società moderna, ferme restando, ovviamente, le altre garanzie offerte dall'ordinamento (in primis, la previsione di un sindacato accentrato nella Corte).

Soltanto attraverso una valorizzazione di tutti gli attori istituzionali nella vocazione naturale che compete a ciascuno di essi si potranno vedere finalmente conseguite le aspirazioni democratiche di un sistema forse perfetto nella sua costruzione teorica, meno negli sviluppi effettivi che spesso conosce all'atto pratico.

Sarebbe, viceversa, ingenuo, oltre che metodologicamente inopportuno, nel quadro di un contesto ordinamentale come quello poc'anzi illustrato, lasciare che un singolo giudice possa farsi, con una pretesa di assolutezza, portatore di principi e valori fondamentali, ancorché suscettibili, per loro natura, di interpretazioni non univoche (a seconda dell'opzione ideologica di fondo) e che, proprio per questo motivo, necessitano di una puntuale interpositio legislatoris11.

2. LA MAGISTRATURA NELLA TRANSIZIONE DALLO STATO DI DIRITTO ALLO STATO DI GIUSTIZIA12

Un corretto inquadramento sistematico della questione non può non tenere conto della circostanza che la giurisdizione, nella sua costruzione concettuale, costituisce una funzione fondamentale dello Stato, cui solo incidentalmente e in via subordinata dovrebbe corrispondere un potere.

Occorre considerare, cioè, che nella giurisdizione il connotato di potere presenta caratteristiche meno prevalenti ed evidenti rispetto al legislativo o all'esecutivo, che manifestano, ciascuno nel proprio ambito, una più intensa relazione con la sovranità popolare.

D'altro canto, il fatto che la funzione sia amministrata da giudici nominati per concorso (art. 106 Cost.) e in assenza di qualsiasi relazione gerarchica (art. 107 Cost.) attenua certamente il dato dell'investitura democratica, ovvero richiede che quest'ultimo sia affermato valorizzando anche altri elementi contenuti nel titolo IV, parte II della Carta, spesso relegati ai margini del dibattito giuridico corrente (si pensi, ad esempio, ai casi di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'art. 102, ult. co. o anche, più in generale, al ruolo dell'avvocatura nell'esercizio della funzione giurisdizionale13).

Non si può dimenticare, ad esempio, che, ai sensi dell'art. 101, co. 1 Cost., la giustizia è amministrata in nome del popolo ed è proprio nel popolo, in quanto titolare della sovranità e destinatario della funzione, che va ricercata la fonte originaria della sua legittimazione in senso democratico.

Occorre ricordare, difatti, che la funzione deve essere necessariamente erogata al cittadino (ovvero non può essergli negata), non potendo restare non esaudita la domanda di giustizia che promana dalla società: si può dire, del resto, che, allo stato attuale del progresso giuridico, nel modello contemporaneo di Jurisdiktionsstaat, non vi sia area immune dalla giurisdizione14.

In altri termini, la giurisdizione può essere interpretata correttamente come potere solo in quanto dimensione della sovranità (con i corollari della scaturigine statale del diritto e del monopolio dell'uso della forza) e non certo nell'accezione corporativa in cui il più delle volte viene ad essere intesa.

Questo rilievo, solo all'apparenza banale, vale a tenere vivo il collegamento della giurisdizione con i circuiti democratici disegnati dalla Costituzione, in un sistema, come il nostro, che non prevede vincoli elettorali o forme dirette di controllo popolare in materia.

Solo in questo modo potranno affermarsi strumenti giuridici idonei a bilanciare quello che, per i motivi già descritti nei paragrafi precedenti, negli ultimi decenni va configurandosi sempre più come un potere vero e proprio, al cui esercizio non corrispondono, tuttavia, meccanismi effettivi di responsabilità.

Da altro punto di vista, l'esercizio del potere integra anche, come naturale pendant, il dovere nei confronti della collettività di assicurarle la funzione (divieto di non liquet), garantendole "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge" e "l'unità del diritto oggettivo nazionale" (si veda l'art. 65, co. 1 r.d. n. 12/1941, ma anche l'art. 24, ult. co., in tema di riparazione degli errori giudiziari).

Siamo lontani anni luce ormai dall'antica definizione di Montesquieu di potere nullo e invisibile15 - le cui tracce, comunque, pure sarebbero ancora rinvenibili nella struttura complessiva del titolo IV - tanto più in un contesto che ha visto dilagare fenomeni radicalmente opposti (attivismo giudiziario, protagonismo giudiziario, politicizzazione della magistratura, ecc.) che non riflettono affatto i presupposti costituzionali.

A Costituzione invariata (ma potremmo anche dire: a Costituzione inattuata), la legge ha perduto terreno e la propria centralità nell'ambito dell'ordinamento a causa di fattori perlopiù esogeni, che hanno fatto si che la magistratura andasse ad occupare gli spazi lasciati liberi dal legislatore, appropriandosi, di fatto, di funzioni che nelle premesse originarie non dovevano appartenerle

Si pensi, ad esempio, al ruolo "creativo" della giurisprudenza, ma anche alla tendenza a riferirsi direttamente e senza l'indispensabile mediazione legislativa ai principi costituzionali, con il proposito di darvi attuazione immediata.

Mi sembra che soprattutto quest'ultima tendenza - scaturente dall'esigenza di temperare la c.d. "dittatura della maggioranza" avvertita nei sistemi di democrazia parlamentare - rischi di rivelarsi particolarmente pericolosa nello scenario attuale, visti gli squilibri istituzionali illustrati16.

Si rischia, dunque, per assecondare un'esigenza del tutto legittima, di sortire, almeno nelle situazioni estreme, un effetto paradossale, ovvero quello di affidare a soggetti sostanzialmente deresponsabilizzati la funzione di inventare il diritto17 ed applicarlo alle fattispecie concrete, nel nome di principi e valori (privi, in quanto tali, di normatività immediata) di cui si fanno portatori, reclamandone una presunta assolutezza.

In un quadro cosi delineato, il giurista positivo non può che temere le conseguenze di vedere affidato al giudice comune il compito di operare soggettivamente la selezione dei valori e la soluzione dei conflitti sociali18, sebbene si tratti di oggetti che, per la loro qualità, non si prestano ad un giudizio di applicazione, quanto piuttosto ad un bilanciamento, che si confà, invece, all'ambito operativo del giudice costituzionale.

All'osservata diffidenza nei confronti della legge, vista dalla critica di matrice marxista come strumento di potere del ceto dominante, non fa riscontro, tuttavia, analoga diffidenza nei confronti dell'operato del singolo giudice e degli arbitrii cui possa eventualmente dare luogo un'interpretazione troppo creativa della funzione.

L'instaurazione dello Stato costituzionale di diritto non può avere azzerato, difatti, completamente il valore della legalità, che rimane un caposaldo imprescindibile dell'ordinamento giuridico ed un fondamentale elemento di garanzia, a dispetto di correnti di pensiero che mirerebbero a svalutarla19.

Non bisogna dimenticare, ad esempio, il dato della soggezione del giudice alla legge (iudex sub lege, art. 101, co. 2 Cost.) che vale a definire la giurisdizione nelle sue più autentiche coordinate costituzionali, affrancandola si da qualsiasi sudditanza rispetto agli altri poteri, ma, allo stesso tempo, mantenendo questi ultimi saldamente al riparo da pretese di supremazia da parte del potere giudiziario20.

La legge stessa diviene, a ben vedere, ulteriore fonte di legittimazione della giurisdizione in senso democratico, non potendosene immaginare un esercizio sottratto a riferimenti normativi ben precisi.

Se non riguardata in quest'angolazione, la giurisdizione finirebbe per tradire la propria vocazione naturale, che consiste, al di là di infingimenti ideologici, nel dichiarare la volontà della legge per il tramite del giudice21.

È questa, d'altronde, la ragione profonda per la quale il giudicato arriva effettivamente a possedere quell'auctoritas idonea a fare stato tra le parti, vincolandole agli esiti dell'attività di accertamento compiuta dal giudice (cfr. art. 2909 c.c.).

Una forza espressa, peraltro, dalla formula riportata nell'intestazione delle sentenze emanate dai vari uffici giudiziari contemplati dall'ordinamento ("in nome del popolo italiano") che chiude idealmente il cerchio del nostro ragionamento, sviluppato, non a caso, proprio a partire dall'art. 101 Cost.

CONCLUSIONI. LA RESPONSABILITÀ DEL MAGISTRATO QUALE DIMENSIONE NECESSARIA DELLA "DEMOCRAZIA GIURISDIZIONALE"

Il tema della legittimazione del potere giurisdizionale ritrova, dunque, per tutti i motivi osservati, la propria attualità nel contesto dei processi giuridico-istituzionali sopra richiamati.

La relazione di rappresentanza espressa dal primo comma dell'art. 101 Cost.22 reclama oggi, alla luce dell'accresciuto peso della magistratura e dei mutati equilibri tra i poteri dello Stato, un'affermazione in termini effettivi e non già di mera fictio, quale a volte rischia di essere ridotta nell'opinione corrente.

Perdere di vista tale relazione equivale proprio a smarrire il significato profondo del posizionamento costituzionale della funzione, spostandone la legittimazione sul più scivoloso terreno del consenso popolare23, se non addirittura del populismo giudiziario, che costituisce di certo uno dei mali del nostro tempo.

La crisi della legge descritta nei paragrafi che precedono è soprattutto crisi del diritto positivo (ovvero del diritto posto dall'autorità), con il conseguente rischio di vedere consegnati al giudice, nel disordine normativo dei nostri tempi, enormi spazi di discrezionalità, ovvero di arbitrarietà, non contemplati dalle tradizionali categorie giuridiche24, con ricadute negative sul valore della certezza, al quale dovrebbe sempre guardare la giurisdizione nel suo concreto svolgersi.

Lo strumento più idoneo per rendere visibile la rappresentanza espressa dall'art. 101, co. 1 Cost. dovrebbe risiedere, in primo luogo, nell'elaborazione di nuovi e più efficaci meccanismi di responsabilità (nei confronti, a seconda dei casi, dello Stato-apparato e dello Stato-comunità), che appaiono, allo stato, piuttosto blandi.

Si pensi, ad esempio, all'esperienza della disciplina della responsabilità civile dei magistrati (sia nella versione del 1988 che in quella del 2015), che ha ricevuto finora un ambito di applicazione decisamente ridotto ed insoddisfacente rispetto alle premesse iniziali.

Si tratta, cioè, di inquadrare la giurisdizione da una corretta prospettiva metodologica, seguendo l'itinerario logico-giuridico definito dal titolo IV, di cui sembra sia andata perduta la traccia originaria, vista la piega assunta dalla costituzione materiale negli ultimi decenni.

Difatti, sin dall'art. 101 Cost. (e poi, via via, in numerosi ulteriori elementi rinvenibili negli articoli seguenti) si evince un'idea di "democrazia giurisdizionale", imperniata sul cittadino, quale titolare della sovranità e destinatario della funzione, piuttosto che sul potere giudiziario in quanto tale25.

Soltanto evidenziando maggiormente la legittimazione democratica della funzione, mediante un progetto organico di riforma dell'ordinamento giudiziario (che affronti questioni cruciali come la separazione delle carriere o la responsabilità dei magistrati, appunto), si potrà consolidare quella credibilità di cui necessitano i pubblici poteri per essere esercitati e riconosciuti in un ordinamento democratico.

D'altronde, è proprio in queste condizioni che potranno essere assicurati realmente quegli elementi richiamati in numerose pronunce della Corte costituzionale emanate in materia, come il buon andamento dell'amministrazione della giustizia e la fiducia in esso riposta da parte della collettività26.

Diversamente, accentuando sempre più le distanze dal corpo sociale e l'arroccamento corporativo della magistratura, si produce solo una disaffezione diffusa verso le istituzioni, aggravata dalle inefficienze dimostrate dalla macchina giudiziaria nel suo concreto funzionamento (si pensi al tema della patologica durata dei processi o al problema connesso dell'immane arretrato da smaltire) e da certi scandali interni alla categoria venuti alla luce negli ultimi anni27.

Occorre considerare, del resto, che la funzione ultima della giustizia consiste nel porre fine alle controversie e nel contribuire a garantire un pacifico vivere civile, che potrà realizzarsi solo in presenza di un'autentica coesione giuridica e sociale in seno alla comunità.

È cosi, in altri termini, che potrà finalmente trovare piena attuazione la vocazione costituzionale dello Stato a farsi davvero comunità solidale (ubi societas ibi ius), in ossequio al dettato dell'art. 2 Cost.


NOTES

2 Dell'argomento tratto diffusamente in Luca Longhi, Studio sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, Napoli: Editoriale Scientifica, 2017.
3 Il riferimento è alla nota massima di Duguit "là où est la responsabilité, là est le pouvoir". Cfr. Léon Duguit, Traité de droit constitutionnel, Paris: E. de Boccard, 1928, p. 832.
4 Su questo concetto e sull'emersione del modello costituzionale di giurisdizione, si veda, da ultimo, Paolo Bonini, Il giudice e la legge. Contributo sulla funzione paralegislativa dei giudici, Napoli: Editoriale Scientifica, 2022, pp. 29 ss.
5 Messa a fuoco prima di tutti da Flavio Lopez de Oñate, La certezza del diritto (1942), Milano: Giuffré, ed. 1968. Sull'argomento, si vedano, poi, tra gli altri, in ordine cronologico, e poi, in ordine cronologico, Francesco Carnelutti, "La certezza del diritto", in Riv. dir. civ., 1943, pp. 81 ss.; Massimo Corsale, La certezza del diritto, Milano: Giuffré, 1970; Carla Faralli, "Certezza del diritto o diritto alla certezza?", in Mat. stor. cultura giur., 1997, pp. 91 ss.; Enrico Diciotti, Verità e certezza nell'interpretazione della legge, Torino: Giappichelli, 1999; Stefano Bertea, "La certezza del diritto nel dibattito teorico-giuridico contemporaneo", in Mat. stor. cultura giur., 2001, pp. 163 ss.; Guido Alpa, La certezza del diritto nell'età dell"mcertezza, Napoli: Editoriale Scientifica, 2006.
6 Si veda, sul concetto, Stefano Rodotà, Solidarietà: un'utopia necessaria, Roma-Bari: Laterza, 2014, passim.
7 Massimo Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano: Giuffré Francis Lefebvre, 2023, p. 150, parla di "giurisdizione onnipervasiva".
8 Cfr. Massimo Luciani, op. cit., p. 153, a proposito della distinzione teorica tra applicazione ed attuazione della Costituzione.
9 Che è cosa diversa dalla legittimazione democratica della giurisdizione, di cui parla Roberto Romboli, "La nuova disciplina ed il ruolo del giudice oggi", in Foro italiano, 2006, V, col. 49.
10 Si veda, sul punto, Sabino Cassese, Il governo dei giudici, Roma-Bari: Laterza, 2022, p. 24.
11 In mancanza, si potrebbe spalancare il baratro del c.d. diritto libero (Freirechtsbewegung) che, in stagioni passate, in condizioni ordinamentali evidentemente diverse, aveva caratterizzato certi regimi autoritari. Si vedano, sul punto, Carlo Mezzanotte, "Sulla nozione di indipendenza del giudice", in Beniamino Caravita (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Roma-Bari: Laterza, 1994, p. 7; Lorenzo Chieffi, La magistratura. Origine del modello costituzionale e prospettive di riforma, Napoli: Jovene, 1998, pp. 28 ss.; Nicolò Zanon e Lino Panzeri, "Art. 101", in Raffaele Bifulco, Alfonso Celotto e Marco Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino: UTET, 2006, p. 1959.
12 La citazione è di Jacques Krynen, Lemprise contemporaine des juges, Paris: Gallimard, 2012, p. 415.
13 Si veda, sul punto, C. cost., sent. n. 173/2019 (punto 3.2 cons. dir.).
14 Così, Sabino Cassese, op. cit., p. 77.
15 Si veda, su questo passaggio, Sabino Cassese, op. cit., p. 16.
16 Massimo Luciani, op. cit., p. 111, parla di "alterazioni dell'ordine costituzionale dei poteri".
17 Nel senso tedesco di Rechtsetzung più che di Rechtsfindung. Sull'argomento, si veda Hans Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. it., Torino: Einaudi, 2000, p. 108.
18 Natalino Irti, Un diritto incalcolabile, Torino: Giappichelli, 2017, p. IX, parla di "intuizionismo dei valori".
19 Su quest'idea, si veda Massimo Luciani, op. cit., p. 110.
20 In questi termini, Giovanni Verde, Giustizia, politica, democrazia. Viaggio nel Paese e nella Costituzione, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2021, p. 64.
21 Vedi Giovanni Verde, op. cit., p. 109.
22 Sandro Staiano, "La rappresentanza", in Rivista AIC, n.° 3, 2017, p. 27, parla, sul punto, di "rappresentanza istituzionale".
23 Su quest'idea, si veda Giovanni Verde, op. cit., p. 49.
24 Questo passaggio lo si trova sviluppato in Natalino Irti, Nichilismo e concetti giuridici. Intorno all'aforisma 459 di "Umano, troppo umano", Napoli: Editoriale Scientifica, 2005, pp. 7 ss.
25 Su questo concetto, si rinvia a Luca Longhi, La democrazia giurisdizionale. Lordinamento giudiziario tra Costituzione, regole e prassi, Napoli: Editoriale Scientifica, 2021, passim.
26 Si vedano, sul punto, ex multis, C. cost., sent. n. 100/1981; sent. n. 215/2016; sent. n. 170/2018; sent. n. 241/2019.
27 Cfr. Sabino Cassese, op. cit., pp. 33 ss.


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