10.18601/01234366.45.02
Il ruolo dei verba 'nisi restituent' nella promessa dell'actio de recepto*
El papel de los verba 'nisi restituent' en la promesa de la actio de recepto
The Role of the Verba 'Nisi Restituent' in the Promise of the Actio de Recepto
Emanuela Calore**
* Fecha de recepción: 20 de julio de 2022. Fecha de aceptación: 24 de febrero de 2023. Para citar el artículo: Calore, E., "Il ruolo dei verba 'nisi restituent' nella promessa dell'actio de recepto", Revista de Derecho Privado, Universidad Externado de Colombia, n.° 45, julio-diciembre 2023, 17-46. DOI: https://doi.org/10.18601/01234366.45.02.
** Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata', Roma, Italia; profesora asociada de Derecho Romano y de Derechos de la Antigüedad. Doctora en Sistema Jurídico Romanístico, Unificación del Derecho y Derecho de la Integración de la Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata', Roma, Italia. Contacto: emanuela.calore@uniroma2.it ORCID: 0000-0002-9809-0838.
ABSTRACT
L'articolo si pone l'obiettivo di riflettere sul ruolo delle parole 'nisi restituent' nella clausola edittale riportata da Ulpiano in 14 aded. D. 4.9.1pr., con la quale il pretore prometteva la concessione di un'actio de recepto. Più nello specifico, nel contributo ci si chiede, anche sulla base di altre fonti (tra cui, in particolare, Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5 ed Ed. Theod. 119), se la formula dell'actio de recepto contenesse una clausola restitutoria e, nel caso affermativo, quali sarebbero potute essere le implicazioni di una tale presenza, tanto dalla prospettiva dell'imprenditore quanto da quella del cliente.
PAROLE CHIAVE: imprenditori, responsabilità, clausola restitutoria, actiones arbitrariae, actio de recepto.
RESUMEN
El artículo tiene como objetivo reflexionar sobre el papel de las palabras 'nisi restituent' en la cláusula edictal referida por Ulpiano en 14 ad ed. D. 4.9.1pr., con la cual el pretor prometía la concesión de una actio de recepto. Más específicamente, el artículo se pregunta, también sobre la base de otras fuentes (incluyendo, en particular, Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5 y Ed. Theod. 119), si la fórmula de la actio de recepto contenía una cláusula restitutoria y, en caso afirmativo, cuáles podrían haber sido las implicaciones de tal presencia, tanto desde la perspectiva del empresario como desde la del cliente.
PALABRAS CLAVE: empresarios, responsabilidad, cláusula restitutoria, actiones arbitrariae, actio de recepto.
ABSTRACT
The article aims to reflect on the role of the words 'nisi restituent' in the edictal clause referred to by Ulpiano in 14 ad ed. D. 4.9.1pr., with which the praetor promised to grant of an actio de recepto. More specifically, the article investigates, also on the basis of other sources (including, in particular, Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5 and Ed. Theod. 119), whether the formula of the actio de recepto contained a restitution clause and, if so, what could have been the implications of such a presence, both from the perspective of the entrepreneur and from that of the customer.
KEYWORDS: entrepreneurs, responsibility, restitution clause, actiones arbitrariae, actio de recepto.
SOMMARIO: Introduzione. I. La clausola edittale riportata da Ulp. 4 ad ed. D. 4.9.1pr. II. La formula dell'actio de recepto e la possibile presenza di una clausola restitutoria. Conclusioni. Riferimenti.
Introduzione
Nel diritto romano un ruolo molto importante per la tutela dei clienti nei rapporti commerciali con i nautae, caupones e stabularii è svolto dal pretore e, in particolare, dagli 'speciali'1 rimedi processuali da lui introdotti: l'actio de recepto, l'actio furti in factum e l' actio damni in factum adversus nautas, caupones, stabularios.
L'esame dei verba edittali e delle formule dei rimedi contro questi imprenditori (exercitores2) marittimi e terrestri permette di cogliere l'entità dell'intervento pretorrio nell'individuazione di una responsabilità ex recepto e più in generale nell'allocazione del rischio in queste attività commerciali. La dottrina3 ritiene prevalentemente che l'intervento del pretore abbia inciso, aggravandola, sulla responsabilità dell'imprenditore, il quale avrebbe visto affiancarsi alla responsabilità nascente dal contratto sottostante, che comunque regolamentava il rapporto, una diversa responsabilità, di origine pretoria, per la mancata restituzione, il furto o il danneggiamento di quanto ricevuto e/o portato sulla nave, nella locanda o nella stazione di cambio dai clienti. L'innovazione del pretore è poi arricchita dall'interpretatio prudentium4.
In questo contributo mi soffermerò in particolare sul ruolo del pretore e sul suo possibile ricorso, nel promettere l'actio de recepto, alla tecnicità processuale della clausola restitutoria, che egli avrebbe potuto utilizzare, a vantaggio dell'attore, per rendere più probabile5 la restitutio della res consegnata in custodia e, allo stesso tempo, per bilanciare l'aggravamento della responsabilità degli imprenditori marittimi e terrestri risultante dall'actio de recepto, con l'estensione della possibilità di restituere - e quindi di evitare la condanna - ad un momento successivo alla litis contestatio.
I. La clausola edittale riportata da Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1pr.
A. I verba edicti e la possibilità che promettessero un'azione arbitraria
Ulpiano, nel libro quattordicesimo del suo commento all'editto, riporta la clausola edittale con la quale il pretore prometteva la concessione di un'azione (detta actio de recepto) contro gli armatori, i locandieri e i titolari di una stazione di cambio6 che non restituivano quello che, di chiunque fosse, avessero rricevuto affinché fosse salvaguardato:
D. 4.9.1pr. Ulp. 14 ad ed. Ait praetor: "Nautae caupones stabularii quod cuisque salvum fore receperint nisi restituent, in eos iudicium dabo".
L'introduzione di questa promessa è, probabilmente, da ricondurre al II sec. a.C.7. L'attenzione del pretore è su soggetti specificamente individuati, prima i nautae e, forse, solo in un secondo momento i caupones e gli stabularii8, e sul presupposto della concessione contro di loro dell'azione: aver ricevuto qualcosa, di chiunque fosse, affinché fosse salvaguardato (quod cuiusque salvum fore receperint9) e non averlo restituito. L'attenzione del titolare della iurisdictio sulla restitutio è dunque molto alta, e ciò è confermato dagli ulteriori rimedi da lui previsti contro tali imprenditori marittimi e terrestri volti a sanzionare la mancata riconsegna a causa di furto o la non riconsegna della res integra a causa del danneggiamento subito dalla stessa.
Nei rapporti commerciali con i nautae, caupones e stabularii si ha un receptum10 - un patto pretorio - quando essi si impegnano a salvaguardare ciò che hanno ricevuto, indipendentemente da colui al quale appartenga la res ricevuta11. La mancata restituzione di quanto ricevuto legittima la concessione, da parte del pretore, dell'azione: nisi restituent in eos iudicium dabo.
La parte dei verba edicti appena richiamata condiziona, unitamente al verificarsi degli altri presupposti, il iudicium dabo. A questo dato, che dal tenore delle parole sembra certo12, è invece dubbio se se ne possa aggiungere un altro, cioè quello della presenza di una clausola restitutoria in senso tecnico nella formula dell'actio de recepto e dunque del suo carattere di azione arbitraria13.
Il tratto caratterizzante le azioni che contengono una clausola restitutoria, e che alcune volte nelle fonti sono dette actiones arbitrariae, consiste nel fatto che in esse il giudice, dopo aver valutato la sussistenza del diritto vantato dall'attore (pronuntiatio de iure), non deve subito pronunciare la sentenza, ma innanzitutto ordinare14 al convenuto la restituzione della cosa (iussum de restituendo). Se il convenuto ottem-pera all'ordine (iussum) viene assolto, in quanto viene meno l'ulteriore condizione per la condanna. Solamente nell'ipotesi in cui il convenuto trascuri questo ordine, segue la condanna al pagamento di una somma di denaro, che in caso di contumacia (cioè di volontaria non restituzione) potrebbe superare di molto il valore dell'oggetto, o comunque essere particolarmente svantaggiosa per il convenuto che non ottempera alla restituzione, perché si baserebbe sul giuramento estimatorio (sullo iusiurandum in litem) dell'attore.
Come è noto, le azioni che contengono una clausola restitutoria acquistano una particolare rilevanza nell'àmbito del processo romano classico, in quanto attraverso di esse si poteva superare la alternatività, altrimenti necessaria, tra assoluzione e condanna pecuniaria15, e soddisfare pienamente l'interesse dell'attore che in taluni casi, come quello del receptum, era volto alla salvaguardia della res e alla sua restituzione.
Quella di considerare l'actio de recepto un'actio arbitraria è una ipotesi che la dottrina16, soprattutto meno recente, ha discusso e in qualche caso accolto17, ma che oggi, per lo più, non viene presa in esame18, e quindi - implicitamente - non ritenuta fondata. Probabilmente, ha pesato sull'affermarsi di questo orientamento la ricostruzione della formula dell'actio de recepto proposta da Rudorff19, da Lenel, in particolare nelle prime due edizioni20 del suo studio sull'editto perpetuo, e più recentemente da Mantovani21, che contiene il richiamo al restituere all'infinito perfetto. Questo uso del tempo verbale implica che la restituzione dovesse essere fatta prima della litis contestatio e quindi escluderebbe una clausola restitutoria operante come condizione negativa della condanna, che infatti in tali ricostruzioni non è presente.
In una riflessione sull'aggravamento della responsabilità dell'exercitor in seguito all'introduzione di 'speciali' rimedi contro i nautae, caupones e stabularii, la presenza o meno nella formula dell'actio de recepto della clausola restitutoria è però a mio avviso interessante, perché se presente, avrebbe determinate che i poteri del giudice fossero più articolati e più ampi che in altre azioni22, eccettuate quelle di buona fede e quelle nelle cui formule, come l'actio de eo quod certo loco23, verosimilmente si menzionava l'arbitrium iudicis; avrebbe perrmesso al convenuto di avere un margine maggiore, anche temporale, per la restituzione e, allo stesso tempo, avrebbe aumentato la probabilità per l'attore di vedersi restituita la res, anche in considerazione del fatto che la mancata restituzione avrebbe potuto comportare la determinazione, per la condanna, del valore della res sulla base dello iusiurandum in litem (giuramento estimatorio) dell'attore24. Una nuova considerazione della questione, pertanto, non sembra inutile, perché - come vedremo nei §§ successivi - oltre al nisi restituent della clausola edittale, ci sono indizi, presenti in altre fonti (D. 4.9.3.5; Ed. Theod. 119), che potrebbero condurre verso l'inclusione della clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto e perché, se tale ipotesi fosse confermata, il pretore avrebbe potuto voler dotare il rimedio in questione di uno strumento che in una qualche misura bilanciasse l'aggravata responsabilità dei nautae, caupones e stabularii.
B. Il valore della clausola 'nisi restituent'' e l'interpretatio prudentium dei verba edicti
Per cercare di chiarire il valore del richiamo alla restituzione nelle parole dell'editto riportate da Ulpiano nel testo tramandato in D. 4.9.1pr., è prezioso il commento dei giuristi a quella clausola edittale, che prevede la responsabilità ex recepto dei nautae caupones e stabularii. I giuristi ne elogiano l'utilità e chiariscono i motivi che spinsero il pretore ad inserirla nell'editto:
Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1.1
Maxima utilitas est huius edicti, quia necesse est plerumque eorum fidem sequi et res custodiae eorum committere. neque quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum: nam est in ipsorum arbitrio, ne quem recipiant, et nisi hoc esse statutum, materia daretur cum furibus adversus eos quos recipiunt coeundi, cum ne nunc quidem abstineant huiusmodi fraudibus.
Ulpiano, nel qualificare di massima utilità la clausola edittale che aveva appena citato (D. 4.9.1pr.), sottolinea che i nautae, caupones e stabularii sono esercenti di attività commerciali di cui - in determinate circostanze - non si possa fare a meno e quindi sia necessario rimettersi alla loro fides e affidare le cose alla loro custodia25. Inoltre, il giurista precisa che non si possa ritenere che la previsione edittale sia troppo severa contro tali imprenditori, perché a loro è data la possibilità di non impegnarsi con qualcuno e perché se il pretore non avesse introdotto una simile previsione, si sarebbe concessa agli armatori, ai locandieri e ai titolari di una stazione di cambio la possibilità di associarsi con i ladri, tanto che commettono frodi nonostante l'introduzione di tale clausola edittale.
La frase neque quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum lascia presumere che qualcuno avesse ritenuto (troppo) severo26 l'intervento del pretore, forse perché introduceva un aggravamento della responsabilità dell'imprenditore rispetto a quella che si sarebbe potuta far valere con le azioni nascenti dai contratti dello ius civile27.
In questa parte iniziale del commento ulpianeo alla clausola edittale, che si concretizza in una laudatio edicti, non vi è alcun esplicito richiamo al ruolo della mancata restitutio, né per giustificare la responsabilità degli esercenti l'attività commerciale, né per argomentare l'infondatezza dell'opinione di chi considera la promessa edittale troppo severa, a differenza delle considerazioni che Ulpiano svolge sulla promessa edittale dell'actio quod metus causa, che è nelle fonti qualificata come un'azione arbitraria28. Un confronto con il commento ulpianeo alla clausola edittale sul metus, mostra che in quest'ultima, invece, il giurista rriconosce la "clemenza" del pretore nel dotare l'azione per quanto compiuto a causa di timore, che prevedeva una pena nel quadruplo, di una clausola restitutoria (Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.14.1 […] satis clementer cum reo praetor egit, ut daret ei restituendi facultatem, si vult poenam evitare29).
Anche nella parte finale del commento ulpianeo alla clausola edittale che prometteva l'actio de recepto, prettamente dedicata ai verba ' nisi restituent, in eos iudicium dabo'30, il giurista - per quanto ci è giunto - non dedica attenzione al valore della restitutio nella fattispecie in esame. Questa assenza, se attribuibile ad Ulpiano, può spiegarsi con il fatto che egli si era già soffermato nel commento ai precedenti titoli edittali (mi riferisco, in particolare, al titolo edittale che prometteva tutela per quanto compiuto metus causa che probabilmente conteneva le parole nisi restituetur31, o per quanto compiuto a causa di dolo32) sul valore della clausola restitutoria e non ritenesse necessario tornarci.
In ogni caso, il tenore delle parole dell'editto mostra chiaramente che la mancata restituzione da parte dei nautae, caupones e stabularii di quanto ricevuto costituisce un presupposto per la concessione dell'azione. In considerazione del modo e del tempo verbale utilizzato (restituent), ci si può però anche chiedere se il pretore, per bilanciare l'aggravata responsabilità connessa a queste attività commerciali, abbia o meno voluto anche preannunciare nella clausola edittale il ricorso alla tecnica processuale che prevede l'inserimento nella formula dell'azione della clausola restitutoria, che avrebbe riconosciuto al giudice un potere discrezionale grazie al quale egli avrebbe potuto incidere nella determinazione della restituzione.
II. La formula dell'actio de recepto e la possibile presenza di una clausola restitutoria
A. Le proposte di ricostruzione della formula
Oltre ai verba della clausola edittale, decisiva per una valutazione complessiva della situazione in cui si sarebbe venuto a trovare l'imprenditore in seguito al receptum è quindi la formula dell'azione de recepto, che purtroppo non ci è tramandata dalle fonti nel suo tenere letterale. Rudorff, Lenel (nelle prime due edizioni) e Mantovani la ricostruiscono in modo pressoché simile.
Rudorff33: Iudex esto. Si paret NumNum (servum, filium, institorem NiNi voluntate eius), cum navem (cauponam, stabulam) exerceret, NiNi [rectius AiAi] res, quibus de agitur, salvas fore recepisse neque restituisse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex NumNum AoAo condemna, si n.p.a.
Lenel34: S.p. NmNm, cum navem exerceret, AiAi res q.d.a. salvas fore recepisse neque restituisse, q.e.r.e, t.p, iudex, NmNm AoAo c.s.n.p.a.
Mantovani35: C. Aquilius iudex esto. Si paret N.Negidium cum navem exerceret A.Agerii res quibus de agitur salvas fore recepisse neque restituisse, quanti ea res erit tantam pecuniam C. Aquilius iudex N.Negidium A.Agerio condemnato, si non paret absolvito.
In Lenel però, in seguito ad una più approfondita riflessione sulle actiones arbitrariae36, si insinua il dubbio che il nisi restituent della clausola edittale non permettesse la presenza di un nisi restituisse nella formula dell'actio de recepto, e pertanto egli propone una diversa ricostruzione che tiene conto di queste considerazioni (S.p. NmNm, cum navem exerceret, AiAi res q.d.a. salvas fore recepisse, nisi restituet37, q.e.r.e.38, t.p. iudex NmNm AoAo c.s.n.p.a.), ma che - mi sembra - non scioglie del tutto il nodo della questione della presenza o meno di una clausola restitutoria nella formula dell'azione. Mantovani, probabilmente anche sulla base di tali riflessioni di Lenel, a proposito del neque restituisse presente nella ricostruzione da lui proposta, segnala39 che è possibile anche un'altra formulazione: 'nisi restituet'.
B. L'actio de recepto era un'actio arbitraria? Nella sua formula era presente una clausola restitutoria?
1. Le diverse posizioni assunte dalla dottrina
Nelle fonti a noi pervenute sull'actio de recepto non rricorre una sua qualificazione in termini di actio arbitraria. Inoltre, nei commenti dei giuristi alla formula dell'azione non ci sono riflessioni del tutto esplicite che lascino pensare con certezza ad una presenza della clausola restitutoria. Tuttavia, una parte della dottrina ha ritenuto certo che l'actio de recepto avesse una clausola restitutoria e che fosse un'azione arbitraria.
Cuiacio40, nonostante qualche dubbio iniziale (… proculdubio), ritiene che essa, in modo simile all'actio quod metus causa ed alla rei vindicatio, fosse un'azione arbitraria. Più precisamente - osserva Cuiacio - se l'exercitor non avrà restituito arbitrio iudicis la res che gli è stata consegnata affinché la tenesse salva, allora sarà data questa azione (de recepto) per quanto è l'interesse dell'attore che fosse restituita - stimato con il iusiurandum in litem -, in modo analogo a quanto avviene nell'actio de dolo, che è anche un'azione arbitraria. Similmente, per Favre41 l'actio de recepto era un' actio arbitraria, dal momento che la condemnatio sarebbe stata sub ea exceptione si res non restituatur arbitrio iudicis. Inoltre, il ragionamento di Favre sotteso a questa qualificazione ancora una volta conteneva dei richiami e dei rinvii all'actio quod metus causa. Anche Goldschmidt42, nelle ultime pagine del suo più ampio studio sul receptum nautarum, cauponum, stabulariorum, qualifica l'actio de recepto come actio arbitraria, indicando43, a supporto di ciò, i verba edicti 'nisi restituent', la somiglianza con le "imparentate" actione depositi e locati, che però -ritengo si debba aggiungere - non sono actiones arbitariae, ma di buona fede, e un rapido richiamo al cap. 119 dell'Edictum Theoderici. I rilievi di Goldschmidt sono stati criticati da Karlowa44, ma condivisi da Peters45. Per Karlowa nella quasi intentio della formula dell'actio de recepto si sarebbe dovuto indicare, come condizione per la condanna, un salvum fore recepisse da parte del nauta o degli altri imprenditori potenzialmente convenuti e il non restituisse46. La mancata restitutio, quindi, a suo avviso avrebbe costituito una condizione per la condanna47, pur non essendo presente nella formula una clausola restitutoria. Diversamente, invece, per Peters, l'actio de recepto sarebbe stata un'azione arbitraria e il restituere avrebbe costituito lo scopo dell'azione48. Anche Levy, in contributi diversi49, qualifica come arbitraria l'azione in esame, precisando che ciò non sarebbe contraddetto dall'assenza delle parole arbitrio iudicis nella clausola edittale che la prometteva50. Voci51, in occasione di un approfondimento del richiamo all'officium iudicis in Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5, ritiene che l'azione in esame fosse un'azione arbitraria. Pur con una lettura che in alcuni, non marginali, punti si discosta da quella di Levy, anche Chiazzese52 cita l'actio de recepto tra le actiones arbitrariae. Ancora, in questo senso, sulla scia di Voci e a proposito di D. 4.9.3.5 si è espresso Stolfi53.
La dottrina che si è occupata ex professo della ricostruzione delle formulae dei rimedi giurisdizionali, invece, come abbiamo visto, non ha incluso una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto. Rudorff54 esclude espressamente che l'actio de recepto sia un'azione arbitraria e spiega il nisi restituent della clausola edittale come una condizione per la concessione del iudicium. Anche Lenel non la include, ma, mentre nelle prime due edizioni dello studio sull'editto perpetuo55 ipotizza che nella formula vi fosse un neque restituisse, nella terza edizione, preferisce optare per un nisi restituet56. Mantovani, come Rudorff e il primo Lenel, presume un neque restituisse nell'intentio, benché segnali come possibile la formulazione al nisi restituet57.
2. Le fonti
Oltre al futuro del nisi restituent della clausola edittale riportata da Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1pr., un indizio della possibile presenza della clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto è contenuto in una parte del commento ulpianeo58 alla formula59 di questa azione:
Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5 Novissime videndum, an eiusdem rei nomine et de recepto honoraria actione et furti agendum sit: et Pomponius dubitat: sed magis est, ut vel officio iudicis vel doli exceptione alterutra esse contentus debeat.
Ulpiano, probabilmente subito dopo60 aver ricordato che questa azione - l'actio de recepto -, come afferma Pomponio, è reipersecutoria61 e quindi viene concessa anche contro l'erede e senza limitazioni di tempo, in questo testo prende una precisa posizione sulla questione, ancora una volta già discussa da Pomponio62, del concorso cumulativo dell'actio de recepto con l'actio furti in factum63. In relazione a ciò Ulpiano afferma che è preferibile (sed magis est)64 non ammettere il cumulo delle due azioni65, ma accontentarsi dell'una o dell'altra azione grazie all'officium iudicis o all' exceptio doli.
L'impostazione del testo, per quanto fortemente sospettato di interpolazioni66, non lascia a mio avviso alcun dubbio sul problema in esso discusso. Ulpiano e Pomponio prima di lui si interrogavano sulla possibilità di esercitare o meno cumulativamente contro l'imprenditore l'actio de recepto e l'actio furti in factum. La questione non poteva, invece, riguardare l'actio furti civilis, a meno di ipotizzare che l'exercitor stesso fosse stato l'autore del furto o la sua insolvenza, e così superare il principio ricordato da Ulpiano (D. 47.5.1.467) secondo il quale l'actio furti (civilistica) non sarebbe spettata al dominus rei subreptae, quanto a colui che sopportava il periculum custodiae, ma nel testo non ci sono elementi in tal senso. Invece, che il dubbio, di Pomponio prima e di Ulpiano poi, vertesse sulla possibilità di cumulare l'actio de recepto con l'actio furti in factum, è spiegabile con il fatto che, come aveva ricordato Pomponio e rifacendosi a lui il giurista severiano, actio de recepto rei persecutionem continet. Proprrio la finalità reipersecutoria dell'actio de recepto, considerato che invece l'actio furti in factum ha una componente penale, che in linea di principio renderebbe ammissibile il cumulo con un'azione reipersecutoria, potrebbe aver generato il dubbio, probabilmente sciolto da Ulpiano. Solo la riflessione sulla funzione anche risarcitoria dell'actio furti in factum e sulla responsabilità oggettiva che essa sanzionava68 potrebbe infatti aver condotto i giuristi, con qualche iniziale incertezza (come mostra il magis est), ad individuare gli strumenti che avrebbero permesso di evitare il cumulo dell'actio furti in factum con l'actio de recepto: l'officium iudicis e l'exceptio doli.
Il richiamo all'officium iudicis è stato letto da una parte della dottrina69 come un indice della presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'azione e della sua natura di azione arbitraria70. Questo dato, in realtà, isolatamente considerato non potrebbe costituire una prova della presenza di una clausola restitutoria nell'azione in esame, soprattutto se, con Chiazzese71, si ritiene che arbitrium iudicis e officium iudicis fossero sostanzialmente equivalenti e si tiene conto del fatto che i giuristi si riferiscono all'arbitrium iudicis anche in merito ad azioni sicuramente non contenenti una clausola restitutoria72. Nel caso dell'actio de recepto, però, come vedremo, si deve tenere conto anche di altri elementi che potrebbero permettere di ipotizzare che contenesse una clausola restitutoria73, quindi vale la pena soffermarsi sulla menzione dell'officium iudicis.
Una parte della dottrina, che nel testo in esame ritiene classico il rinvio all'officium iudicis, lo riferisce all'ipotesi in cui, essendo possibile esperire tanto l'actio de recepto quanto l'actio furti, si fosse prima agito con l'azione reipersecutoria74. In questo caso il iudex, nell'àmbito del suo officium, per evitare il cumulo dei due rimedi, avrebbe potuto chiedere all'attore di prestare una cautio de remittendo75 in merito alla non esperibilità da parte sua, agendo in eiusdem rei nomine, anche di un'actio furti76. Nel caso, invece, si fosse agito prima con l'actio furti, se il dominus delle res consegnate avesse successivamente agito anche con l'actio de recepto, sempre secondo la dottrina che ritiene genuino il testo, l'imprenditore convenuto avrebbe potuto chiedere l'inserimento di un' exceptio doli nella formula77.
Questa spiegazione del rrinvio all'officium iudicis (e alla connessa cautio de remittendo) è plausibile, soprattutto se, come mi sembra preferibile, si ritiene che i giuristi ragionassero su un possibile concorso tra actio de recepto e actio furti in factum. Se così fosse, l'officium iudicis78 avrebbe tenuto conto di quanto affidato dall'attore al nauta o al locandiere o al titolare della stazione di cambio e di cui l'attore stesso chiedeva la restitutio, ma nello stesso tempo, anche grazie all'intervento dei giuristi (Ulpiano), avrebbe potuto considerare iniquo che l'attore agisse anche con un ulteriore strumento che avesse pure una finalità risarcitoria o quantomeno una penalità affievolita e sanzionasse una responsabilità oggettiva (l'actio furti in factum). Pertanto, il iudex avrebbe chiesto all'attore - che agiva con l'actio de recepto - proprio in virtù del suo officium, di pronunciare una promessa di garanzia di non agire con l'altra azione79 (cautio de remittendo dell'actio furti in factum). In questo modo la tutela degli interessi dei clienti, per raggiungere la quale il pretore aveva introdotto una responsabilità aggravata degli exercitores, veniva bilanciata (a livello processuale) con la tutela degli interessi degli esercenti un'attività commerciale, che altrimenti sarebbero potuti risultare soccombenti a due azioni con uno scopo in parte coincidente80.
Nel secondo caso, quello in cui si fosse agito prima con l'actio furti in factum, invece, in base alla spiegazione proposta, il iudex avrebbe potuto evitare la pronuncia di un iussum de restituendo solo grazie ad un' exceptio81, che il giurista non individua in una exceptio rei in iudicium deductae, ma in un' exceptio doli82. La necessità di ricorrere ad un'exceptio, però, mi sembra opportuno precisare, non implica di per sé l'assenza di una clausola restitutoria e di un richiamo all'arbitrium iudicis nella formula dell'actio de recepto83, sulla base del fatto che l'officium iudicis sarebbe stato sufficiente ad evitare il cumulo. Quest'ultima interpretazione mi sembra supportata dalla lettura di Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.14.13, in cui Ulpiano, richiamando ancora una volta Pomponio, osserva che colui il quale ha indotto timore - in questo caso si agisce contro l'autore della vis - è tenuto tanto con l'actio quod metus causa quanto con l'azione di dolo, entrambe azioni arbitrarie, e che ciascuna delle due azioni si consuma in seguito all'esercizio dell'altra opponendosi un'exceptio in factum: Eum qui metum fecit et de dolo teneri certum est, et ita Pomponius, et consumi alteram actionem per alteram exceptione in factum opposita.
Non si può, inoltre, neppure del tutto escludere, benché mi sembra meno probabile anche in considerazione dell'appena richiamata comparazione con D. 4.2.14.13, che l'officium iudicis intervenisse nel caso in cui, esercitata per prima l' actio furti in factum, si fosse poi agito anche con l'actio de recepto. In questo caso, la complessiva valutazione in ordine alla restitutio, che sarebbe rientrata nell'arbitrium iudicis menzionato nella clausola restitutoria, avrebbe consentito al iudex di procedere all'assoluzione84, mentre l'exceptio doli sarebbe servita nel caso in cui si fosse prima agito con l'actio de recepto (senza ordine di una cautio de remittendo).
In ogni caso, comunque, la clausola restitutoria, nella quale verosimilmente era menzionato l'arbitrium iudicis, se inserita dal pretore nella formula dell'actio de recepto, avrebbe potuto permettere un bilanciamento degli interessi delle parti coinvolte (aggravamento della responsabilità dell'exercitor - evitare un ingiustificato arricchimento del cliente) e, allo stesso tempo, anche a vantaggio dell'attore che aveva interesse alla restitutio della res, avrebbe potuto estendere ad un momento successivo alla litis contestatio la possibilità del convenuto di restituere e aumentare la 'pressione' ad ottemperare allo iussum de restituendo, grazie alla previsione del iusiurandum in litem per l'ipotesi della contumacia. Da un punto di vista di politica del diritto, l'opportunità, evidentemente discussa dai giuristi, di evitare il cumulo tra actio de recepto e actio furti in factum, si spiega, oltre che con un contenuto anche risarcitorio della condanna a cui questa azione avrebbe potuto condurre, considerando la particolare natura dell'actio furti in factum che sanziona l'imprenditore per una responsabilità oggettiva, che prescinde dunque da un suo comportamento doloso e include una possibile responsabilità per il delictum altrui.
Un'altra fonte che lascia pensare alla presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto è tratta dall'editto di Teoderrico. Siamo quindi all'inizio del VI sec. d.C.85, nell'àmbito di una compilazione con la quale Teoderrico il Grande86 o, forse, un ignoto giurista "desideroso di confezionare un prontuario a uso dei tribunali romano-gotici", aveva raccolto una serie di norme giuridiche romane in uso presso i Goti87:
Edictum Theoderici cap. 119: Si quid de taberna <nave>88 vel stabulo perierit, ab his, qui locis talibus praesunt, vel qui in his negotiantur, repetendum est, ita ut praestent sacramenta de conscientia sua suorumque: et si hoc fecerint, nihil cogantur exsolvere, aut certe quantum petitor juraverit se in eo loco perdidisse, restituant.
Nel capitolo 119 si afferma che se qualcosa viene perso in una locanda o in una nave o in una stazione di cambio deve essere recuperato da coloro che sono responsabili di tali luoghi o sono gestori degli stessi, a patto che prestino giuramenti sulla coscienza (buona fede?) loro e dei loro collaboratori89: se avranno fatto così non siano costretti a pagare niente, altrimenti certamente restituiscano quanto l'attore avrà giurato di aver perso in quel luogo.
La natura dell'opera nella quale la disposizione normativa è riportata rende più complesso stabilire se il contenuto di quest'ultima fosse o meno romano e, se romano, riconducibile allo strumento giurisdizionale in esame.
La base giuridica della disposizione, letta nel suo complesso, potrebbe essere individuata nella disciplina romana del receptum e nell'actio de recepto90, ma non solo in ciò91. Infatti, mentre la possibilità di recuperare quanto perso nella locanda, sulla nave o nella stazione di cambio, l'attenzione sulla mancata restitutio di quanto consegnato agli imprenditori terrestri e marittimi richiamati e la stima della condanna sulla base del iusiurandum dell'attore possano essere ricondotti all'actio de recepto, lo stesso non potrebbe dirsi per il riferimento ai sacramenta de coscientia sua suorumque. Per quanto è possibile ricavare dalla lettura delle fonti, nella disciplina processuale romana prevista per la tutela del receptum non si faceva ricorso a tali giuramenti, ma al più ad una cautio. Tali sacramenta, invece, fanno pensare ai giuramenti purgatori92 dei convenuti, più facilmente spiegabili con un'influenza del diritto processuale germanico o comunque del diritto germanico93.
Proprio l'ultima parte del capitolo 119 è stata interpretata da una parte della dottrina94 come un evidente indizio della presenza di uno iusiurandum in litem e dunque di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto95. Nelle azioni che prevedevano nella formula una clausola restitutoria, infatti, in caso di mancata restitutio imputabile al convenuto, il giudice avrebbe condannato quest'ultimo al pagamento del valore della cosa non restituita e per la determinazione del quantum si sarebbe avvalso del iusiurandum in litem dell'attore, cioè del giuramento estimatorio sul valore della res, che avrebbe potuto superare il suo reale valore.
Anche in considerazione dello iusiurandum in litem, la presenza o meno della clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto avrebbe potuto incidere sulla complessiva situazione in cui si sarebbe venuto a trovare l'exercitor in caso di mancata restitutio, perché se egli, convenuto in giudizio, non avesse restituito, la condanna avrebbe potuto superare il semplice valore della res.
Conclusioni
Le fonti considerate nei paragrafi precedenti, benché non numerose, non esplicite e, nel caso del cap. 119 dell'Edictum Theoderici, non del tutto rappresentative di un regime romano, contengono elementi spiegabili con la presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto o che - diversamente - necessitano di un'altra spiegazione, perché in ogni caso non possono essere ignorati.
Come abbiamo visto, infatti, la promessa edittale (D. 4.9.1pr.) include il requisito, formulato al futuro, della mancata restituzione (nisi restituent); è testimoniata la possibilità di evitare il cumulo dell'actio de recepto con l'actio furti (in factum) grazie all''officium iudicis' (D. 4.9.3.5); è richiamato lo iusiurandum in litem, al fine di quantificare il quantum della condanna, nel caso di mancata restituzione (Ed. Theod. 119). Si tratta di indizi che, considerati complessivamente, rendono plausibile l'ipotesi che nella formula dell'actio de recepto vi fosse una clausola restitutoria, anche se - si deve pure osservare - essa non è richiamata dai giuristi in luoghi e contesti in cui gli sarebbe stato funzionale, come ad esempio laddove Ulpiano spiegava come la promessa dell'actio de recepto non dovesse essere considerata troppo dura per gli imprenditori.
Non si può, quindi, escludere che il pretore, proprio al fine di assicurare una maggiore efficacia alla tutela del receptum, avesse dotato la formula dell'azione di una clausola restitutoria, che avrebbe permesso al giudice di iubere, nella fase del processo che era sotto il suo controllo, la restitutio, e allo stesso tempo, grazie al richiamo all'offcium iudicis, come suggerisce Ulpiano, di tenere conto, escludendola, della possibilità di cumulare l'actio de recepto con un'actio furti in factum o, possiamo aggiungere, con un'actio damni in factum. Infatti, da un lato la clausola restitutoria avrebbe conferito al giudice il potere di iubere la restitutio dopo la litis contestatio e di avvalersi del giuramento estimatorio dell'attore per determinare l'ammontare della condanna in caso di mancata restituzione (aggravando così la posizione dell'imprenditore che non avesse restituito), ma allo stesso tempo, come abbiamo visto nella discussione di Pomponio e Ulpiano sul cumulo delle azioni, grazie all'officium iudicis, avrebbe potuto permettere di bilanciare gli interessi dei clienti con quelli degli esercenti un'attività commerciale, che altrimenti sarebbero potuti risultare soccombenti a due azioni con uno scopo (almeno in parte) coincidente, e che sanzionavano una responsabilità oggettiva.
Pur ipotizzando con cautela la presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto, alla luce delle fonti considerate nelle pagine precedenti, mi sembra che in ogni caso risulti confermato l'obiettivo principale perseguito dal pretore con la promessa edittale rricordata da Ulpiano nel testo riportato in D. 4.9.1pr.: quello di contrastare le occasioni di mancata restituzione da parte degli imprenditori marittimi e terrestri delle res ricevute dai clienti, superando il criterio della responsabilità soggettiva.
Notas
1 Serrao, F., La responsabilità per fattto alttrui in diritto romano. Corso di lezioni, Pisa, Librería Universitaria, 1970, ora, da cui si cita, in Id., Impresa e responsabilità a Roma nell'età commerciale, Pisa, Pacini, 1989, 144 ss.; 154 ss.; Cursi, M. F., "Actio de recepto e actio furti (damni) in factum adversus nautas, caupones, stabularios. Logiche differenziali di un sistema composito", in Studi per G. Nicosia, vol. III, Milano, Giuffrè, 2007, 117 ss.
2 Come è noto, il termine exercitor, inizialmente impiegato per indicare l'armatore, colui che era al vertice di un'impresa navale, grazie all'interpretatio dei giuristi sul verbo exercere è stato progressivamente esteso ad indicare colui che si trova al vertice di un'impresa, non necessariamente navale. Cfr. Petrucci, A., "Negotiationes e negotiatores. Tipologia dell'organizzazione imprenditoriale romana", in Cerami, P. e Petrucci, A., Diritto commerciale romano, Profilo storico, 3.ª ed., Torino, Giappichelli, 2010, 59 s.
3 Glück, F., Commentario alle Pandette, vol. IV, tradotto e annotato da Landucci, L., Milano, Vallardi, 1890, 374 ss.; van Oven, J. C., "Actio de recepto et actio locati", RHD, vol. 24, 1956, 139 ss.; Arangio-Ruiz, V., Responsabilità contrattuale in diritto romano, rist. della II ed. (Napoli, 1968), Napoli, Jovene, 1987, 103; Serrao, F., "La responsabilità per fatto altrui in diritto romano", BIDR, vol. 66, 1964, 19 ss., ora, da cui si cita, in Impresa e responsabilità, cit., 95 ss.; Földi, A., "Anmerkungen zum Zusammenhang zwischen der Haftung ex recepto nautarum cauponum stabulariorum und der Haftung für custodia", RIDA, vol. 50, 1993, 265 ss.; Fercia, R., Criteri di responsabilità dell'exercitor. Modelli culturali dell'attribuzione del rischio e 'regime' della nossalità nelle azioni penali in factum contra nautas, caupones et stabularios, Torino, Giappichelli, 2002, 171 ss. e 202 ss.; Id., La responsabilità per fatto di ausiliari nel diritto romano, Padova, Cedam, 2008, 291 ss.; Petrucci, A., "Tipi di attività contrattuali e di responsabilità connesse all'esercizio di un'impresa di navigazione", in Cerami e P., Petrucci, A., Diritto commerciale, cit., 273, a proposito della clausola edittale riportata in D. 4.9.3.1; Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 127 ss.; Pelloso, C., "Custodia, receptum e responsabilità contrattuale. Una rilettura dei dogmi civilistici alla luce del metodo casistico romano", Seminarios complutenses de derecho romano, vol. 29, 2016, 281 ss.; Galeotti, S., Mare monstrum mare nostrum. Note in tema di pericula maris e trasporto maritttimo nella riflessione della giurisprudenza romana (I sec. a.C.-III sec. d.C.), Napoli, Jovene, 2020, 136 ss. Un'altra parte della dottrina ha ritenuto che il pretore sarebbe intervenuto con il receptum per limitare la responsabilità dei nautae (caupones e stabularii), altrimenti oggettiva. In questo senso De Robertis, F. M., Receptum nautarum. Studi sulla responsabilità dell'armatore in diritto romano, con riferimento alla disciplina particolare concernente il caupo e lo stabularius, Bari, Grafiche Alfredo Cressadi, 1952, 13 ss., il quale pensa "ad un intervento del Pretore allo scopo di esonerare il nauta dalla antica responsabilità obbiettiva […] scaturente dalla locatio operis faciendi, a meno che non fosse stata assunta garanzia espressa di salvum fore: lungi quindi dall'aggravare la responsabilità originaria del nauta, egli sarebbe intervenuto ad opporvi una grave limitazione, pur se soltanto in ordine alla sfera di applicazione, e senza toccarne minimamente la intensità" (16 s.).
4 A questo proposito può essere interessante ricordare l'ipotesi avanzata da Thomas, J. A. C., "Carriage by Sea", RIDA, vol. 7, 1960, 504 ss., che il receptum e la responsabilità ad esso connessa trovino la loro origine nella scientia di Labeone. Per una risalenza della responsabilità da receptum ad un periodo precedente a quello della creazione del sistema della responsabilità contrattuale, "sogar des System der contractus bonae fidei" e ad una successiva limitazione della responsabilità ex recepto da parte di Labeone, cfr. Földi, A., Anmerkungen, cit., 278 ss.
5 In considerazione del più esteso lasso temporale a disposizione del convenuto e della condanna, in caso di mancata restitutio, nel valore della res calcolato sulla base del iusiurandum in litem da parte dell'attore.
6 Per Földi, A., "Anmerkungen", cit., 265 ss., nonostante la dottrina moderna tenda a tradurre i termini nautae, caupones e stabularii rispettivamente con 'Schiffer' (armatori), 'Herbergswirte' (titolari di una locanda) e 'Stallwirte' (titolari di una stalla), gli stabularii non sarebbero stati propriamente dei titolari di una stalla, quanto piuttosto dei titolari di una locanda accanto alla quale era pure presente una stalla per gli animali; pertanto - a suo avviso - sarebbe preferibile parlare di responsabilità degli 'Schiffer' e degli 'Herbergswirte'. Pur essendo possibile che la locanda avesse annessa una stalla, non si può escludere che vi fossero locande senza stalle annesse e, considerato ciò, mi sembra preferibile, anche nelle lingue moderne, distinguere tra caupones e stabularii e, in italiano, tradurre stabularius con 'titolare di una stazione di cambio' (che poteva avere annessa una locanda). Cfr. anche Heumann, H. y Seckel, E., Handlexikon zu den Quellen des römischen Rechts, 11.ª ed., Graz, Akademische Druck- und Verlagsanstalt, 1971, 59 e 552, per il significato di 'caupo' come 'Gastwirt' o 'Schenkwirt', e quello di 'stabularius' come 'Stallwirt'.
7 Petrucci, A., "Tipi di attività", cit., 261 ss.
8 Difficile dire con sicurezza, sulla base delle informazioni che ci sono giunte, se fin dall'inizio il pretore avesse contemplato tutte e tre le categorie di esercenti un'attività commerciale. Ritengono che il pretore si fosse inizialmente rivolto ai nautae e successivamente anche agli albergatori e ai titolari di una stazione di cambio, Lenel, O., Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, 3.ª ed., 1927, rist. Aalen, Scientia Verlag, 1965, 131, nt. 15; Huvelin, P., Études d'histoire de droit commercial romain, vol. I, Paris, Librairie du Recueil Sirey, 1929, 120 ss., 137 ss., 156; Fercia, R., La responsabilità, cit., 202 s.; Petrucci, A., "Tipi di attività", cit., 261 ss., 269. Diversamente, Karlowa, O., Römische Rechtsgeschichte, vol. II, t. 1, Leipzig, 1901, Veit & Comp., 1316, nt. 4, per il quale le parole eodem modo tenentur caupones et stabularii di Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.2 non permetterebbero di escludere che la clausola edittale commentata dal giurista includesse anche i citati imprenditori terrestri. Sembra pensare a degli editti separati per i nautae da una parte e per i caupones e stabularii dall'altra, Thomas, J. A. C., "Carriage by Sea", cit., 489; ancora diversamente De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 144 ss., per il quale l'editto del pretore, così come la relativa interpretatio da parte dei prudentes, non avrebbe considerato i caupones e gli stabularii in ordine alla responsabilità ex recepto. Dai testi dei giuristi che commentavano la clausola edittale, si ricava però che la categoria "di riferimento" era quella dei nautae, mentre gli altri esercenti venivano spesso richiamati per precisare che quanto detto valeva anche per loro. Si pensi, ad esempio, a Gai. 5 ad ed. prov. D. 4.9.2 sicut et caupo viatorum; oppure a Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.2 Eodem modo tenentur caupones et stabularii, quo exercentes negotium suum recipiunt.
9 Sull'importanza e sul significato dell'espressione salvum fore receperint, cfr. Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum, cauponum, stabulariorum", Zeitschrift für das gesammte Handelsrecht, n.° 3, 1860, 97 ss.
10 Ude E., "Das receptum nautarum, ein pactum praetorium", ZRG RA, vol. 12, 1891, 66 ss.; Lusignani, L., Studi sulla responsabilità per custodia secondo il diritto romano, vol. I, Receptum nautarum, cauponum, stabulariorum e gli altri casi di locatio conductio, Parma, Tipografia operaia Adorni-Ugolotti e C., 1902, 24 ss.; Brecht, Ch. H., Zur Haftung der Schiffer im antiken Recht, München, C.H. Beck, 1962, 83 ss.; secondo Frezza, P., s.v. "receptum", in Novissimo Digesto Italiano, vol. 14, Torino, Utet, 1967, 1026 = ora in Scritti, II, a cura di Amarelli, F. e Germinio, E., Roma, Lateran University Press, 2000, 600, il salvum fore recipere, dal quale sarebbe sorta la responsabilità, originariamente sarebbe nato da un patto aggiunto al contratto concluso tra i nautae, caupones, stabularii ed i loro clienti, mentre, con il tempo, la responsabilità si sarebbe ritenuta nascere indipendentemente da una dichiarazione espressa dell'obbligato, dalla ricezione delle res da parte dell'armatore, dell'albergatore o dello stalliere. In questo senso, cfr. anche Lenel, O., "Rc. a L. Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrecht", ZRG RA, vol. 13, 1892, 403, nt. 1; Pernice, A., "Parerga X. Zum römischen Gewohnheitsrechte", ZRG RA, vol. 20, 1899, 137; Partsch, J., "Der ediktakle Garantievertrag durch receptum", ZRG RA, vol. 29, 1908, 405 ss.; Arangio-Ruiz, V., Responsabilità contrattuale, cit., 107. Sul receptum, cfr. anche De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 5 ss.; Petrucci, A., "Tipi di attività", cit., 261 ss. Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 119 ss.; Carvajal, P. I., "La persistencia de 'recipere' en su acepción de 'prometer' y la desvinculación entre vis maior y la exceptio Labeonis en época postclásica: 'salvum recipere obligare' y 'suscipere in fidem suam'",, in Studi in onore di A. Metro, a cura di Russo Ruggeri, C., vol. 1, Milano, Giuffrè, 2009, 409 ss.; Pelloso, C., "Custodia", cit., 281 ss.; Galeotti, S., Mare monstrum, cit., 136 ss.
11 D. 4.9.1.7 Ulp. 14 ad ed. Item Pomponius libro trigensimo quarto scribit parvi referre, res nostras an alienas inttulerimus, si tamen nostra intersit salvas esse: etenim nobis magis, quam quorum sunt, debent solvi. et ideo si pignori merces accepero ob pecuniam nauticam, mihi magis quam debitori nauta tenebitur, si ante eas suscepit. Cfr. Fercia, R., La responsabilità, cit., 297.
12 Tanto che la dottrina maggioritaria legge il nisi restituent dei verba edicti solo come condizione per la concessione dell'azione. Tra gli altri, in questo senso Betti, E., Studi sulla litis aestimatio del processo civile romano, II, Le actiones quibus et rem et poenam persequimur del processo classico, Citté di Castello, Soc. Tip. Leonardo da Vinci, 1915, 15 nt. 1, per il quale non ci sarebbe ragione per credere che il nisi restituent della clausola edittale "alluda a una clausola formolare di restituzione: esso designa per contro - almeno per l'età della sua origine - il presupposto del iudicium", benché, come ha osservato (7 e nt. 2), egli ritenga non si possa escludere che il restitiuere, originariamente ammesso ante iudicium acceptum, finisse anche per questo rimedio con l'essere riconosciuto ante condemnationem; Maier, G. H., Prätorische Bereicherungsklagen, Berlin-Leipzig, De Gruyter, 1932, 124; Carvajal, P. I., "La persistencia", cit., 419 s.
13 La dottrina ha discusso molto sul rapporto tra clausola restitutoria, azioni arbitrarie e arbitrium iudicis, assumendo posizione molto diverse (Biondi, B., Studi sulle actiones arbitrariae e l'arbitrium iudicis, Palermo, 1912, rist. anastatica Roma, L'Erma di Bretschneider, 1970, 5 ss.; Lenel, O., "Zur Lehre von den actiones arbitrariae", in Festgabe für R. Sohm dargebracht zum goldenen Doktorjubiläum von Freunden, Schülern und Verehrern, Leipzig, Duncker & Humblot 1914, 201 ss. [= in Gesammelte Schriften, vol. 3, 1902-1914, Napoli, Jovene, 1991, 503 ss.]; Levy, E., "Zur Lehre von den sog. Actiones arbitrariae", ZRG RA, vol. 36, 1915, 1 ss.; Chiazzese, L., Jusiurandum in litem, Milano, Giuffrè, 1958, 103 ss.; Calore, E., Actio quod metus causa. Tutela della vitttima e actio in rem scripta, Milano, Giuffrè, 2011, 261 ss., 343 ss.; Viaro, S., L'arbitratus de restituendo nelle formule del processo privato romano, Napoli, Jovene, 2012, 105 ss.; Gaulhofer, J., Metus. Der Prätorische Rechtsschutz bei Furcht, Zwang und Gewalt, Wien-Köln-Weimar, Böhlau, 2019, 173 ss.). Senza entrare in questa sede in modo approfondito nella questione, dalla lettura delle fonti sul tema, mi sembra possa ricavarsi che le azioni munite di una clausola restitutoria fossero caratterizzate da una più ampia discrezionalità del iudex in ordine alla restitutio (connessa all'arbitrium iudicis) e probabilmente anche per questo motivo fossero talvolta indicate nelle fonti con la qualifica di actiones arbitrariae, benché essa sia impiegata dai giuristi non solo per le azioni nelle cui formule era contenuta una clausola restitutoria. Cfr. anche infra, nt. 70.
14 Viaro, S., L'arbitratus, cit., 160 ss., 196 s., ritiene piuttosto che lo iussum de restituendo costituisse un invito o meglio ancora un'autorizzazione. così, anche Gaulhofer, J., Metus, cit., 204 ss.
15 Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 150. Non mi sembra invece convincente il ragionamento di Viaro, S., L'arbitratus, cit., 193 ss., per la quale le azioni munite di clausola restitutoria non avrebbero derogato "alla regola cardine del processo formulare - ossia al carattere pecuniario dell'eventuale condanna emessa dal iudex -, che rimaneva salda in tutti i casi in cui una rimessione in pristino non avesse avuto spontaneamente luogo ante sententiam". La studiosa, infatti, pone l'accento sulla persistenza di una eventuale condanna pecuniaria, che non è però messa in discussione da chi, come me, sostiene che la clausola in esame permettesse di superare tale condanna, di evitarla.
16 Cuiacius, I., Ad lib. XIII Pauli ad edictum, in Opera Omnia, vol. I, Lugduni, sumptibus Ioannis Pillehotte, 1614, 977; Faber, A., Rationalia in Pandectas I, Genève, ex Typis Vignonianis, 1604, ad D. 4.9.3.1 e ad D. 4.9.3.2; Rudorff, A. F., Römische Rechtsgeschichte, vol. II, Leipzig, Tauchnitz, 1859, 154; Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum", cit., 117 s.; Lenel, O., "Zur Lehre", cit., 210 (benché non proprio esplicitamente); Peters, H., "Generelle und spezielle Aktionen", ZRG RA, vol. 32, 1911, 296 s.; Karlowa, O., Römische Rechtsgeschichte, cit., 1316; Levy, E., "Zur Lehre", cit., 24 ss.; Id., Die Konkurrenz der Aktionen und Personen im klassischen römischen Recht, vol. II., t. 1, Berlin, Vahlen, 1922, 88; Voci, P., Risarcimento e pena privata nel diritto romano classico, Milano, Giuffrè, 1939, 130 ss.; Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 5, 82, 241; Stolfi, E., Studi sui libri ad edictum di Pomponio, vol. II, Contesti epensiero, Milano, Led, 2001, 159; Viaro, S., L'arbitratus, cit., 9, nt. 23. Per un maggiore ragguaglio sulle diverse posizioni, cfr. infra, § II.B.1.
17 Cuiacius, I., Ad lib. XIII Pauli ad edictum, cit., 977; Faber, A., Rationalia in Pandectas I, cit., ad D. 4.9.3.1 e ad D. 4.9.3.2; Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum", cit., 117 s.; Peters, H., "Generelle und spezielle Aktionen", cit., 296 s.; Karlowa, O., Römische Rechtsgeschichte, II, cit., 1316; Levy, E., "Zur Lehre", cit., 24 ss.; Id., Die Konkurrenz, cit., 88; Voci, P., Risarcimento, cit., 130 ss.; Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 5, 82, 241.
18 Fanno eccezione, per quanto ho potuto vedere, Stolfi, E., Studi, cit., 159, il quale considera il rimedio in esame un'azione arbitraria, e Viaro, S., L'arbitratus, cit., 9, nt. 23, la quale si pone il problema se dal nisi restituent della clausola edittale con la quale si prometteva l'actio de recepto possa scaturire un'azione arbitraria.
19 Rudorff, A. F. Edicti perpetui quae reliqua sunt, Lipsiae, 1869, rist. Navarra, Eunsa, 1997, 65. Cfr. infra § II.A.
20 Lenel, O., Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu dessen Wiederherstellung, 1.ª ed., Leipzig, Tauchnitz, 1883, 104, il quale aderiva alla ricostruzione di Rudorff; nello stesso senso nella seconda edizione: Id., Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, 2.ª ed., Leipzig, Tauchnitz, 1907, 127. Nella terza edizione, invece, la ricostruzione proposta da Lenel (Id., Das Edictum perpetuum, 3.ª ed., cit., 131) contiene un nisi restituet al posto del precedentemente ipotizzato neque restituisse.
21 Mantovani, D., Le formule del processo privato romano. Per la didattica delle Istituzioni di diritto romano, 2.ª ed., Padova, Cedam, 1999, 68 s. Cfr. infra § II.A.
22 Pernice, A., Labeo. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit, vol. II, t. 1, 2.ª ed., Halle, Max Niemyer, 1895, 288 ss.; Levy, E., "Zur Lehre, cit., 61 ss.; Kaser, M. e Hackl, K., Das Römische Zivilprozessrecht, 2.ª ed., München, C.H. Beck, 1997, 337 e nt. 19, per i quali, però, la discrezionalità del giudice avrebbe potuto incidere sul 'come' della "Befriedigung" (e quindi della restitutio) e non sul 'quanto' della stessa. Diversamente: Riccobono, S., "Rc. a O. Lenel, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1907", BIDR, vol. 20, 1908, 101 ss., per il quale la compilazione giustinianea avrebbe inteso l'arbitratus in modo nuovo e diverso rispetto a quello dei classici e "cioè nel senso che il giudice in questa categoria di azioni ha il potere di aestimare ex bono et aequo"; Id., "Dal diritto romano classico al diritto moderno", AUPA, vol. III-IV, 1917, 180, nt. 2; Id., "La dottrina generale del compenso di spese fatte su cosa altrui", AUPA, vol. III-IV, 1917, 390 ss.; Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 26 ss., 41, 111, secondo il quale le azioni con clausola restitutoria non sarebbero state caratterizzate da una maggiore discrezionalità (per la critica alla tesi di Pernice, alla quale comunque Chiazzese, considerandola storicamente, riconosce "un posto d'onore", cfr. 20 ss.; per la critica a Levy, 31 ss.). Più recentemente è intervenuta sulla questione Viaro, S., L'arbitratus, cit., 106 ss. e 156, per la quale, d'accordo con Chiazzese, la clausola restitutoria non avrebbe attribuito al iudex "un'autonomia di giudizio di carattere diverso da quella che normalmente gli spettava in relazione alle altre formulae". Ritiene, però, Viaro - a differenza di Chiazzese - che "l'arbitrium del giudice consistesse nella decisione volta ad ammettere o meno la restitutio in relazione alla specifica vicenda di cui era chiamato a occuparsi, se del caso fissando le condizioni cui la restitutio stessa sarebbe stata soggetta: di talché, la clausola arbitraria altro non avrebbe significato che, semplicemente, 'se la cosa non sia restituita per decisione del giudice'". A sostegno di questa tesi, la Viaro osserva che se il iudex, in considerazione della clausola restitutoria, avesse sempre dovuto ordinare la restitutio, egli avrebbe dovuto assolvere il convenuto "ogni qual volta vi fosse stata una reintegrazione ante sententiam in favore dell'attore: in pratica, il convenuto stesso avrebbe avuto a propria disposizione un comodo espediente per ravvedersi solo una volta aver saputo di aver torto, quando già vi era insomma la certezza che una sentenza sfavorevole sarebbe stata pronunciata qualora egli non avesse tenuto un atteggiamento collaborativo". Una simile formula, quindi, per la studiosa avrebbe favorito "intenti defatigatori", "svuotato di ogni portata lo stesso istituto del iusiurandum in litem, privandolo di tutta la sua carica latamente 'punitiva'", "il vero 'arbitro' dell'intera situazione sarebbe stato il convenuto". Ritengo, però, che se consideriamo lo scopo, la funzione (principale) dei rimedi in cui tale clausola era presente, cioè quello di far conseguire all'attore la restitutio della res, la valutazione sulle conseguenze di una clausola restitutoria, che avrebbe permesso "sempre e comunque di procedere a restitutio", non sarebbe stata che positiva, perché tale clausola avrebbe permesso all'attore, con un più ampio raggio di possibilità, di ottenere il proprio risultato, benché ciò avrebbe anche comportato al convenuto di evitare in qualsiasi momento precedente alla condemnatio le conseguenze di una condanna che dovesse tenere conto del iusiurandum in litem.
23 Cfr. infra, nt. 70.
24 Per Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 112, il rifiuto del convenuto di obbedire al iussum iudicis costituisce l'unico presupposto classico del jusiurandum in litem: "Si pone così la tesi del nesso classicamente indissolubile tra jusiur. in litem e formule munite di clausola restitutoria".
25 Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 129.
26 Sebbene, più in generale, da alcune fonti sembrerebbe ricavarsi l'idea che i Romani avessero una cattiva considerazione dei nautae, caupones e stabularii. Cfr., tra gli altri, Horatius, lib. 1 Serm. 1, v. 29; 5, v. 4 ss., v. 70 ss.; Martialis, lib. 1, Epigr. 26; 57 (56); 2.51; e 3.57; Plaut., Aulul., 3.5.35 (= 509); Sen., De ben., 1.14.1; Cic., Cluent. 59.163. Allo stesso tempo, però, in merito alla reputazione dei nautae, da altre fonti emerge il riconoscimento dell'utilitas della loro attività per i traffici commerciali, soprattutto quando questi erano in grado di garantire l'approvvigionamento a Roma anche durante l'inverno, come si ricava, ad esempio, da Svet., Claud. 18.2.
27 Petrucci, A., "Tipi di attività", cit., 273.
28 Cfr. Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.14.4; I. 4.6.31.
29 Cfr. Calore, E., Actio quod metus causa, cit., 273 ss.; Viaro, S., L'arbitratus, cit., 49 ss.; Gaulhofer, J., Metus, cit., 202 ss; 243 s.
30 Lenel, O., Palingenesia iuris civilis, vol. II, Lipsiae, Tauchnitz, 1889, 491. Diversamente, Cerami, P., "Tabernae deversoriae. Settore economico e regime giuridico nel periodo imprenditoriale", in Studi in onore di A. Metro, a cura di Russo Ruggeri, C., vol. 1, Milano, Giuffrè, 2009, 467, sembra attribuire anche il testo riportato in D. 4.9.3.1 al commento alla formula dell'actio de recepto.
31 Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.9.7; D. 4.2.12; D. 4.2.14pr.-2. Cfr. Calore, E., Actio quod metus causa, cit., 57, 65 e 261 ss.
32 Si pensi a Ulp. 11 ad ed. D. 4.3.17pr.
33 Rudorff, A. F., Edicti perpetui, cit., 65.
34 Lenel, O., Das Edictum perpetuum, 1.ª ed., cit., 104; Id., Das Edictum perpetuum, 2.ª ed., cit., 127.
35 Mantovani, D., Le formule, cit., 68 s.
36 Lenel, O., "Zur Lehre", cit., 210, sottolinea la rigorosa osservanza delle regole della consecutio temporum nella redazione delle clausole edittali.
37 Lenel, O., Das Edictum perpetuum, 3.ª ed., cit., 131, nt. 20. Cfr. anche Id., "Zur Lehre", cit., 210, nt. 1.
38 Lenel, O., Das Edictum perpetuum, 3.ª ed., cit., 131, nt. 21, sulla base di D. 4.9.6.2, ipotizza che a questo punto potesse essere anche contenuta una taxatio pretoria.
39 Mantovani, D., Le formule, cit., 69, nt. 259.
40 Cuiacius, I., Ad lib. XIII Pauli ad edictum, cit., 977: "Dixi autem hac actione exercitores teneri nisi restituant. Haec sunt verba edicti, nisi restituant, quae proculdubio, quod non animaduerteram, hanc actionem arbitrariam faciunt, ut in edicto, quod metus causa … Et in formula actionis in rem … Omnem actionem in rem certissimum est esse arbitrariam … Et ideo in specie proposita, si res, quas excercitor salvas fore recepit, non restituerit arbitrio iudicis, tum demum haec actio ex edicto praetoris datur, quantum interest actoris, quantive ea res est ab actore aestimata, iureiurando in litem, ut fit in actione de dolo, quae ettiam est arbitraria, l. arbitrio. de dolo. …".
41 Faber, A., Rationalia in Pandectas I, cit., ad D. 4.9.3.1 e ad D. 4.9.3.2: "Duplex enim actio datur ex hoc edicto, utraque in factum. Una in simplum ex contractu vel quasi contractu de recepto, quae merè rei persecutoria est § pen. j. (D. 4.9.3.4) Altera in duplum ex quasi delicto … Porrò quem ex hoc edicto datur, arbitraria est … Fit enim condemnatio ex huiusmodi actione non precisè, sed sub ea exceptione si res non restituatur arbitrio iudicis. Nec me movet quod obiicit Accursius qui contràputat ad d.l.i.inprin. quod in hoc iudicio non feruntur duae sententiae. Nam nec in aliis duae feruntur, sed una dumtaxat. l. itē si cum. 14 § hAQUI VA SIGNOc autē, ubi dixi. supra quod.met. caus. (D. 4.2.14.4). Praecedit iussum restituendi, si res arbitrio iudicis non restituatur, sit condemnatio ex bono et aequo"… "Porro actio de qua in h.t. non bonae fidei est, sed potiùs arbitraria…" … "quae regula ad speciem huius § minùs pertinet, quoniam actio quae ex hoc edicto competit. de recepto non bonae fidei est sed arbitraria, ut scripsi ad § ait praetor…".
42 Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum", cit., 117 s.: "Schließilich mag noch bemerkt werden […] daß die actio in factum de recepto eine actio arbitraria war. […] Daher hier die Feststellung des Klägerischen Interesses durch Würdigungseid schlechthin zulässig ist"
43 Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum", cit., 117.
44 Karlowa, O., Römische Rechtsgeschichte, cit., 1316 e nt. 6 con le critiche alla tesi di Goldschmidt.
45 Peters, H., "Generelle und spezielle Aktionen", cit., 296 s.
46 Karlowa, O., Römische Rechtsgeschichte, cit., 1316.
47 E rispetto a ciò ci si dovrebbe chiedere se, in un qualche momento, non fosse ammissibile per un'assoluzione una restitutio successivamente alla litis contestatio. Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 110 s., rileva infatti che durante il periodo classico ad opera dei Sabiniani si riconobbe anche nei giudizi che riconoscevano la possibilità di restituere solo fino alla litis contestatio che il convenuto evitasse "la condanna, operando la restitutio post acceptum iudicium".
48 Peters, H., "Generelle und spezielle Aktionen", cit., 296 s.: "… das 'nisi restituent' im Prätorischen Edikt selbst steht dort als Ziel der von den nautae etc. eingegangen Verpflichtung und besagt natürlich noch nichts für die Formel, aber 'restituere' ist doch auch das direkte Ziel der Klage".
49 Levy, E., "Zur Lehre", cit., 24 ss.; Id., Die Konkurrenz, cit., 88.
50 Levy, E., "Zur Lehre", cit., 24 ss.: "Wo kein derartiges Mißverständnis zu besorgen war, da hören wir denn auch von einem 'arbitrio iudicis' nichts. Es kann kein Zufall sein und ergänzt unsere Beweisführung in wertvollster Weise, daß sämtliche übrigen uns erhaltenen ediktalen Restitutionsklauseln das arbitrium nicht erwähnen: l. D. 4,9,1pr.: Nautae caupones stabularii quod, cuiusque salvum fore receperint, nisi restituent, in eos iudicium dabo"; Id., Die Konkurrenz, cit., 88.
51 Voci, P., Risarcimento, cit., 130 ss., in merito a Ulp. D. 4.9.3.5, osserva che si sarebbe discusso del concorso dell'actio furti con l'actio de recepto, che era reipersecutoria e arbitraria.
52 Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 5 ss. e 82, a proposito della clausola edittale riportata in D. 4.9.1pr.: "Qui non vi è dubbio che la restitutio può compiersi anche apud iudicem, ed è certo del pari che l'editto non conteneva nessun accenno al giudice, laddove non avrebbe potuto mancare, se i rilievi del Levy cogliessero nel segno"; cfr. anche 241.
53 Stolfi, E., Studi, cit., 159.
54 Rudorff, A. F., Römische Rechtsgeschichte, cit., 154, dopo aver trattato dell'actio arbitraria, aggiunge: "Eine andere Natur aber haben die Klagen, in welchen das NISI RESTITVET edictale Bedingung des Iudicium, nicht der Condemnatio ist, z. B. gegen Nautae, Publicani, dies bedeutet nur, dass die Strafe nicht, wie in der Actio furti, der That auf dem Fusse folgt, sondern dass sie durch Natural-befriedigung vor dem Prozesse abgewendet werden kann". Qui Rudorff sembrerebbe riconoscere un nisi restituet nella formula dell'actio de recepto, benché lo spieghi come condizione edittale del iudicium. Id., Edicti perpetui, cit., 65, però, finisce con il proporre nella formula un neque restituisse.
55 Lenel, O., Das Edictum perpetuum, 3.ª ed., cit., 131.
56 Come opportunamente osservato da Levy, E., "Zur Lehre", cit., 26, prima della terza edizione del Das Edictum perpetuum, ma dopo la pubblicazione dell'articolo "Zur Lehre von den actiones arbitrariae", Lenel, pur avendo riconosciuto che difficilmente nella formula potesse esserci un neque restituisse, quanto piuttosto un nisi restituet (posizione poi confermata, a differenza delle prime due, nella terza edizione del Das Edictum perpetuum), non scioglie la questione se l'actio de recepto fosse o meno un'actio arbitraria. Kaser, M., Quanti ea res est. Studien zur Methode der Litisästimation im klassischen römischen Recht, München, C.H. Beck, 1935, 46, nt. 9, invece legge la formula ricostruita da Lenel nella terza edizione come quella di un'azione arbitraria.
57 Cfr. supra, nt. 39.
58 La completa riconducibilità del testo ad Ulpiano è stata messa in dubbio dalla dottrina. Si veda, tra gli altri, Schulz, F., "Die Aktivlegitimation zur actio furti im klassischen römischen Recht", ZRG RA, vol. 32, 1911, 69 ss., in particolare 71; Biondi, B., "Iudiciae bonae fidei", AUPA, vol. 7, 1918, 55; Id., "Le actiones noxales nel diritto romano", AUPA, vol. 10, 1925, 143 s.; Beseler, G., "Miscellanea", ZRG RA, vol. 44, 1924, 366; Solazzi, S., "Appunti di diritto romano marittimo", Rivista della navigazione, vol. 2, 1936, 113-131 e 278-280 = da cui si cita, in Scritti di diritto romano, III, Napoli, Jovene, 1960, 515, nt. 42; sui dubbi di genuinità, cfr. anche Kaser, M., Quanti ea res est, cit., 46; De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 117 s. e nt. 3 (con indicazione e discussione della dottrina), sospetta dell'inciso vel officio-debet (118 e nt. 2); Fercia, R., Criteri di responsabilità, cit., 171 ss., ipotizza che l'intervento compilatorio sia stato essenzialmente riassuntivo, senza minare la sostanza del contenuto; però, Id., La responsabilità, cit., 352 ss. e 358, nt. 64, ritiene piuttosto che il riferimento all'officium iudicis sia incomprensibile in un iudicium classico e, al contrario, comprensibile nella prospettiva della cognitio del V-VI d.C.
59 Lenel, O., Palingenesia, cit., 491.
60 Nell'opera ulpianea il paragrafo in esame era probabilmente preceduto da quello ora in D. 4.9.3.4. così, Lenel, O., Palingenesia, cit., 491, il quale ipotizza che i testi ora in D. 4.9.3.2-5 fossero dal giurista dedicati al commento della formula dell'actio de recepto.
61 Non mi sembra fondata l'ipotesi che l'actio ex recepto avesse uno "Strafcharakter", che fosse finalizzata ad una poena anche se le si riconosce una funzione risarcitoria (così, invece, Levy, E., Privatstrafe und Schadensersatz im klassischen römischen Recht, Berlin, Vahlen, 1915, 30 ss., per il quale il carattere penale della nostra azione si lascerebbe riconoscere dalla parole ulpianee in D. 4.9.1.1 'ne quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum' e dal fatto che Ulpiano in D. 4.9.3.3 abbia dovuto negare per essa la nossalità; Id., Die Konkurrenz, cit., 87 s.) o, in modo simile, che originariamente fosse un'actio ex delicto (Betti, E., Studi, cit., 7, nt. 2, non esclude che - a suo avviso similmente all'actio depositi in factum - anche l'actio de recepto fosse in origine ex delicto; ancora Sargenti, M., "Osservazioni sulla responsabilità dell'exercitor navis in diritto romano", in Studi in memoria di E. Albertario, I, Milano, Giuffrè, 1953, 575 s. e nt. 2, considera di dubbia collocazione l'actio in factum de receptis, fra le azioni penali e le azioni contrattuali. A suo avviso essa sarebbe stata originariamente connessa "ai fatti dannosi che danno origine alla responsabilità dell'armatore, e non ad un presupposto contrattuale"; il carattere di questa azione emergerebbe da Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.1 nisi forte, inquit, ideo, ut innotesceret praetor curam agere reprimendae improbitatis hoc genus hominum). L'esigenza di reprimere l'improbitas può spiegare la responsabilità sine culpa dell'armatore. Quanto al commento ulpianeo in D. 4.9.3.3, invocato da Levy a sostegno del carattere penale dell'actio de recepto, direi che Ulpiano non intendesse negare la nossalità dell'actio de recepto, che come il giurista stesso sottolinea rei persecutionem continet (D. 4.9.3.4). Piuttosto, direi che in quel punto il giurista stesse discutendo del concorso dell'actio de recepto con l'actio furti (in factum) noxalis (così, Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140; invece, in un primo momento, Fercia, R., Criteri di responsabilità, cit., 171 ss., pensa all'actio furti civile e nossale, e successivamente [Id., La responsabilità, cit., 353 ss. e nt. 53] all'actio furti in factum [cfr. infra, nt. 63]).
62 Per Stolfi, E., Studi, cit., 159, Pomponio avrebbe ipotizzato, senza prendere una esplicita posizione, "la possibilità di una consunzione processuale dell'una azione o dell'altra".
63 Pensano all'actio furti in factum, Biondi, B., "Le actiones noxales", cit., 143; De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 117, nt. 2; Liebs, D., Die Klagenkonkurrenz im römischen Recht. Zur Geschichte der Scheidung von Schadensersatz und Privatstrafe, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1972, 108 s., e 207 s.; Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140; Cerami, P., "Tabernae deversoriae", cit., 480. Voci, P., Risarcimento, cit., 131, nt. 4, sembra non ritenere necessario chiarire se si tratti dell'actio furti dello ius civile o di quella speciale, dal momento che entrambe sarebbero tipicamente penali, ma Id., "Azioni penali e azioni miste", SDHI, vol. 64, 1998, 8, nt. 38, pensa senza dubbio all'actio furti pretoria; Stolfi, E., Studi, cit., 158 s., benché precisi che nel caso discusso attivamente legittimato all'actio furti, tanto ordinaria quanto speciale, fosse il dominus delle res consegnate, dalla prosecuzione dell'analisi sembra maggiormente orientato a ragionare sull'actio furti civilistica (infatti, prospetta l'ipotesi di un furto commesso dallo stesso nauta o quella di un furto commesso da un terzo, ma in caso di insolvenza del nauta). Diversamente, pensano sicuramente all'actio furti civilistica Glück, F., Commentario alle Pandette, cit., 480, nt. 26 (invece L. Landucci, che traduce Glück, ritiene che il caso contemplasse l'actio furti in factum [481, nt. a] e spiega il non riconoscimento del cumulo con il carattere sussidiario dell'actio honoraria de recepto, che però non mi pare sia riscontrabile nelle fonti); Lusignani, L., Studi, cit., 28, 38 s.; Schulz, F., "Die Aktivlegitimation", cit., 69 ss.; Luzzatto, G. I., Caso fortuito e forza maggiore come limite alla responsabilità contrattuale, vol. I, La responsabilità per custodia, Milano, Giuffrè, 1938, 171, 175, nt. 1; De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 117 ss., pur rilevando l'incertezza se si trattasse dell'actio furti civilis o dell'actio furti in factum (117, nt. 2), finisce con il riconoscere che fosse quella civilistica; Kaser, M., "Grenzfragen der Aktivlegitimation zur actio furti", in De iustitia et iure. Festgabe für U. von Lubtow, Berlin, Duncker & Humblot, 1980, 294 e nt. 20, sembra orientato verso l'actio furti civilistica; legge il testo nella prospettiva dell'azione penale civile, in un primo momento, Fercia, R., Criteri di responsabilità, cit., 171 s., per il quale il giurista si sarebbe posto il problema del possibile concorso "tra l'actio de recepto contro l'exercitor e l'actio furti contro il suo ausiliare (libero) autore del fatto, nonostante la responsabilità abbia la medesima fonte (eiusdem rei nomine)". Cfr. anche 172, nt. 68. Tuttavia, Fercia, successivamente (Id., La responsabilità, cit., 353 ss. e nt. 53), ha riconsiderato l'identificazione dell'actio furti citata in D. 4.9.3.5 con l'azione penale civile, ritenendo piuttosto che si trattasse dell'actio furti in factum. Pensa all'azione civile, Vacca, L., "Eccezione di dolo generale e delitti", in L'eccezione di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, a cura di Garofalo, L., Padova, Cedam, 2006, 335 s. = in Delitti privati e azioni penali. Scritti di diritto romano, a cura di Cortese, B.-Galeotti, S.- Guida, G.-Rossetti, G., Napoli, Jovene, 2015, 367 s. Ritengo che ormai possa intendersi superato l'argomento della pura natura penale dell'actio furti in factum (su cui cfr. Serrao, F., Impresa e responsabilità, cit., 104 ss.; Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140 s.), che conduceva Levy, E., Die Konkurrenz, cit., 83 ss., a negare che l'azione, sulla quale Pomponio e Ulpiano discutevano della sua cumulabilità con l'actio de recepto, fosse l'actio furti in factum.
64 Non si può escludere, considerando l'espressione ex magis est, che Pomponio avesse optato per una soluzione diversa. Stolfi, E., Studi, cit., 159, pensa che Ulpiano con quell'espressione volesse "accentuare il proprio superamento delle altrui perplessità". In modo simile, Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140.
65 Se si considera l'una azione reipersecutoria e l'altra penale potrebbe apparire difficile individuare la ratio che aveva guidato Ulpiano a negare il cumulo (Cerami, P., "Tabernae deversoriae", cit., 479, crede che il cumulo fosse la soluzione a lungo seguita dalla giurisprudenza classica). Voci, P., Risarcimento, cit., 131, ritiene che un'esigenza di equità abbia condotto Ulpiano verso questa soluzione; De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 116, ipotizza che il cumulo tra actio ex recepto e actiones in factum furti o damni sarebbe stato respinto (come si ricava anche da D. 4.9.5.1), perché si sarebbe trattato di concorso tra azioni penali e azione reipersecutoria di buona fede. La soluzione proposta dai giuristi acquista chiarezza se si tiene conto della penalità affievolita che caratterizzava le actiones in factum furti e damni (Serrao, F., Impresa e responsabilità, cit., 104 ss.). In questo senso, Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140 s., richiama il carattere delle actiones in factum di furto e di danno, "che piega la natura penale propria del furto e del danno aquiliano a una finalità risarcitoria" e rende "plausibile il divieto di concorrenza con l'actio de recepto, dichiaratamente reipersecutoria". Aderisce a questa tesi, Cerami, P., "Tabernae deversoriae", cit., 480.
66 Supra, nt. 65.
67 D. 47.5.1.4 Ulpianus 38 ad ed. Quod si receperit salvum fore caupo vel nauta, furti actionem non dominus rei subreptae, sed ipse habet, quia recipiendo periculum custodiae subit.
68 Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 140 s.; Fercia, R., La responsabilità, cit., 358.
69 Levy, E., "Zur Lehre", cit., 24 ss.; Voci, P., Risarcimento, cit., 130 s., qualifica chiaramente la nostra azione come arbitraria e nella spiegazione del testo in esame, ipotizzando uno iussum de restituendo (132), riconosce la presenza nella formula di una clausola restitutoria. Diversamente, Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 231 ss., in particolare 238, considera spurio il richiamo all'officium iudicis e in ogni caso non in grado di riferirsi implicitamente ad una cautio de remittendo. Cfr. anche Fercia, R., Criteri di responsabilità, cit., 172, per il quale il richiamo all'officium iudicis potrebbe non essere genuino, sebbene ritenga che sia "opportuna una cauta riserva in merito" e, in un contributo successivo (Id., La responsabilità, cit., 358, nt., 64), ipotizza che si tratti di un'alterazione postclassica.
70 Come sembrerebbe mostrare l'actio de eo quod certo loco, il binomio clausola restitutoria-azione arbitraria, pur essendo la regola, ha conosciuto delle eccezioni. Proprio l'actio de eo quod certo loco, infatti, anche se indicata nelle fonti come arbitraria, molto probabilmente non conteneva nella formula una clausola restitutoria, quanto piuttosto la clausola 'aribitrio tuo', "che avrebbe accordato al giudice ampie possibilità di valutazione, senza pensare ad una formulazione all'utriusque interesse" (così, Pulitanò, F., De eo quod certo loco. Studi sul luogo convenzionale dell'adempimento nel diritto romano, Milano, Giuffrè, 2009, 190 ss.).
71 Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 88 ss., il quale, a proposito della clausola restitutoria, ritiene che "'arbitrio iudicis' è esattamente equivalente ad 'officio iudicis', e non ha altro significato e valore; tuttavia, spiega una funzione essenziale, perché racchiude l'autorizzazione pretoria ad emanare il 'iussus de restituendo'. Se, nella claus. rest., fosse mancata la nostra locuzione, il giudice non avrebbe mai potuto ordinare la restitutio". Rilevato, però, che arbitrium iudicis ricorre anche a proposito di azioni che non contengono nella formula una clausola restitutoria (91 ss.), lo studioso precisa ancora che anche in quest'ultima relazione l'arbitrium iudicis ha il significato costante di 'officium iudicis', benché a prima vista possa far pensare ad un "libero apprezzamento del giudice"; solo per l'actio de eo quod certo loco sarebbe stata impiegata dai giuristi classici con questo significato (92).
72 Cfr. Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 91 e, più recentemente, Viaro, S., L'arbitratus, cit., 156 ss. e nt. 143, per un richiamo delle fonti.
73 Oltre al nisi restituet della clausola edittale che prometteva l'actio de recepto e all'ofcium iudicis del testo in esame, è rilevante un richiamo, come vedremo, dell'edictum Theoderici (cap. 119) allo ius iurandum in litem in una fattispecie riconducibile alla tutela pretoria de recepto.
74 Voci, P., Risarcimento, cit., 130 ss., benché pensi al caso in cui il nauta risponda del furto proprio.
75 Soluzione simile, benché in merito al concorso di strumenti processuali diversi da quelli in esame, è prospettata da Pomponio 6 ad Sab. D. 47.2.9.1: Sed si eam a fure vindicassem, condictio mihi manebit. sed potest dici officio iudicis, qui de proprietate cognoscit, contineri, ut non aliter iubeat restitui, quam si condictionem petitor remitteret: quod si ex condictione ante damnatus reus litis aestimationem sustulerit, ut aut omnimodo absolvat reum aut (quod magis placet), si paratus esset petitor aestimationem restituere nec restituetur ei homo, quanti in litem iurasset, damnaretur ei possessor; Ulp. 16 ad ed. D. 6.1.13 Non solum autem rem restitui, verum et si deterior res sit facta, rationem iudex habere debebit: finge enim debilitatum hominem vel verberatum vel vulnerattum restitui: utique ratio per iudicem habebitur, quanto deterior sit factus. quamquam et legis Aquiliae actione conveniri possessor possit: unde quaeritur an non alias iudex aestimare damnum debeat, quam si remittatur actio legis Aquiliae. et Labeo putat cavere petitorem oportere lege Aquilia non acturum, quae sententia vera est.
76 Voci, P., Risarcimento, cit., 130 ss.; Stolfi, E., Studi, cit., 159 s.; Cerami, P., "Tabernae deversoriae", cit., 480 s. Cerami, però, a differenza di Voci e Stolfi, non sembra ritenere in alcun modo che l'actio de recepto contenesse una clausola restitutoria e che fosse un'azione arbitraria. Per la proposta ricostruttiva della formula dell'actio de recepto, Cerami cita (475, nt. 65) la terza edizione del Das Edictum perpetuum di Lenel, ma non tiene conto delle modifiche apportate da Lenel in quest'ultima edizione rispetto alle precedenti; infatti, nella formula riportata da Cerami c'è il neque restituisse invece del nisi restituet dell'ultima versione leneliana.
77 Infra, nt. 81.
78 Si discute sul potere del giudice nelle azioni con clausola restitutoria. Cfr. Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 29 s., 86 s., per il quale, grazie all'espressione arbitrio iudicis della clausola restitutoria, il giudice avrebbe potuto emanare il iussus de restituendo. Ma come ho detto (supra nt. 71), Chiazzese ritiene spurio il richiamo dell'officium iudicis nel testo in esame, pur ammettendo che l'actio de recepto contenesse una clausola restitutoria.
79 Voci, P., Risarcimento, cit., 131 ss.; Stolfi, E., Studi, cit., 159. Sul rapporto tra cautiones iudiciales e officium iudicis, cfr. anche Giomaro, A. M., Cautiones iudiciales e officium iudicis, Milano, Giuffrè, 1982, 175 ss., benché non si occupi del testo in esame, solo citato (33, nt. 67); Pulitanò, F., De eo quod certo loco, cit., 175 ss.
80 Cerami, P., "Tabernae deversoriae", cit., 481.
81 Voci, P., Risarcimento, cit., 133 s., ritiene che non sia necessaria l'exceptio "quando si tratti di un fatto, di cui si deve tener conto per determinare il contenuto della restitutio: qui il potere di coordinare i vari elementi di questa importa il potere di invitare l'attore alla cautio. Quando si tratti, invece, di ciò, che si è agito penalmente e che, per motivi detti, la condanna da azione reipersecutoria debba essere impedita del tutto (non già regolata nel suo ammontare), il giudice non ha più alcuna facoltà di astenersi da quanto la formula gli impone: pronunciare il iussum ed, eventualmente, la condanna se la pretesa risulti fondata. Qui è necessaria l'exceptio doli se si vuole ottenere l'assoluzione".
82 Cursi, M. F., "Actio de recepto", cit., 141, spiega il ricorso suggerito dal giurista all'exceptio doli, piuttosto che alla exceptio rei in iudicium deductae, con l'"elasticità" che caratterizzava la prima e che le avrebbe permesso di adattarsi a "situazioni limite" come quella dell'actio furti in factum: "La particolare configurazione dell'actio furti in factum rende difficile ravvisare una perfetta identità di petitum con l'actio de recepto, dal momento che si prevede una sanzione pecuniaria a titolo risarcitorio e penale, in un caso, esclusivamente risarcitorio, nell'altro, con misura della pena notevolmente diversa (il duplum, nell'azione penale, il simplum, in quella contrattuale)"; cfr. anche Fercia, R., La responsabilità, cit., 358 s., il quale spiega il richiamo all'exceptio doli e non all'exceptio rei in iudicium deductae con il fatto che nel caso discusso non si ravvisa un' eadem res deducta. L'eadem res riguarderebbe solo "lo specifico evento che giustifica la tutela". Infatti, nell'actio de recepto viene dedotto "un res recipere collegato alla mancata restitutio", nell'actio furti in factum viene dedotto un furto "imputabile ad agente ignoto, ma individuabile in una cerchia predeterminata di persone". Inoltre, il ricorso all'exceptio doli anche per Fercia sarebbe giustificato dalla connotazione non esclusivamente penale dell'actio furti in factum che, se cumulata con l'actio de recepto, darebbe all'attore la possibilità di arricchirsi.
83 Che diversamente sarebbe messo in discussione anche dall'introduzione dell'exceptio labeoniana volta ad impedire la condanna di quegli armatori che non avrebbero potuto restituere le res loro affidate per essere queste perite in seguito ad un naufragio o comunque per vis maior.
84 Se così fosse, la soluzione sarebbe simile a quella che, secondo la lettura di Vacca, L., "Eccezione", cit., 336, ci è presentata in Iav. 14 ex Cassio D. 47.2.72 pr. (benché in questo caso si trattasse di un'azione di buona fede) Si is, cui commodata res erat, furtum ipsius admisit, agi cum eo et furti et commodati potest: et, si furti actum est, commodati actio extinguitur, si commodati, actioni furti exceptio obicitur. Secondo Vacca, infatti, a proposito del testo di Giavoleno, nel caso di concorso tra actio commodati e actio furti, qualora si fosse agito prima con l'actio furti, l'officium iudicis proprio dei giudizi di buona fede avrebbe portato all'estinzione dell'azione di comodato. Sul collegamento tra questo testo e il dubbio di Pomponio in D. 4.9.3.5 cfr. anche Fercia, R., La responsabilità, cit., 358 ss.
85 Si ritiene che l'editto di Teoderico sia stato pubblicato in Italia tra il 500 e il 524 d.C. Cfr., tra gli altri, Grosso, G., Lezioni di storia del diritto romano, 5.ª ed., Torino, Giappichelli, 1965, 453 s.; Guarino, A., L'esegesi delle fonti del diritto romano, a cura di Labruna, L., Napoli, Jovene, 1968, 475 s.
86 In realtà l'attribuzione dell'Edictum a Teoderico il Grande è fortemente discussa dalla dottrina. Per un'indicazione della letteratura cfr. Licandro, O., Edictum Theoderici. Un misterioso caso librario del Cinquecento, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2013, 11, nt. 2, e per una possibile soluzione sulla questione della paternità dell'opera, 125 ss.
87 Licandro, O., Edictum Theoderici, cit., 130 ss.
88 Nell'indice dell'ed. Pithou si legge: CXVIII. Si quis de taberna, nave aut stabulo perierit. Cfr. anche Pardessus, J. M., Collection de lois maritimes antérieures au XVIII.e siècles, I, Paris, Impr. royale, 1828, 150 e nt. 4; Bluhme, F., "Edictum Theoderici Regis", in Monumenta Germaniae Historica, Legum, vol. 5, Hannover, Impensis bibliopolii Hahniani, 1889, 165, nt. a; Fercia, R., La responsabilità, cit., 346; Licandro, O., Edictum Theoderici, cit., 178, nt. VII.
89 Il testo non chiarisce chi fossero i "suoi", ma in considerazione della fattispecie contemplata mi sembra preferibile pensare che fossero i 'collaboratori' degli imprenditori marittimi e terrestri, come ad esempio il magister navis, e non i "cari", come invece ha proposto una parte della dottrina. Nel primo senso, cfr. anche la traduzione del testo proposta da Lafferty, S. D. W., Law and Society in the Age of Theoderic the Great. A Study of the Edictum Theoderici, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, 284 s.; Fercia, R., La responsabilità, cit., 347, per il quale il sacramentum avrebbe dovuto vertere sulla conscientia dell'imprenditore o del preposto. Meno esplicito, ma direi nello stesso senso, Harke, J. D., "Der streitentscheidende Parteieid im römischen und westgotischen Recht", in Recht im Wandel-Wandel des Rechts. Festschrift für J. Weitzel zum 70. Geburtstag, Czeguhn, I. (a cura di), Wien, Vandenhoeck & Ruprecht, 2014, 24. Diversamente, nel secondo senso, la traduzione a cura di O. Licandro e S. Faro in Licandro, O., Edictum Theoderici, cit., 179.
90 Non mi sembra condivisibile la lettura di Fercia, R., La responsabilità, cit., 346 ss., il quale, osservato che il caput in esame era collocato tra quelli disciplinanti ipotesi di furto, ritiene che esso avesse introdotto "una rielaborazione dell'originaria disciplina dell'actio furti in factum: la tutela ivi prevista viene espressamente riferita, del resto, al furtum avvenuto nello stabulum ed a quello avvenuto in una taberna". In cap. 119, però, si parla genericamente di perimento, senza limitare l'ipotesi al furtum, benché questo caso fosse potenzialmente incluso nel perimento; inoltre, il riferimento al giuramento dell'attore mi sembra deporre contro l'interpretazione della previsione come riferita all'actio furti in factum benché 'rielaborata'. Infatti, la condanna non era al duplum (come ci saremmo dovuti aspettare in caso di actio furti in factum), ma limitata "al valore delle cose rubate determinato in base a giuramento dell'attore" (347), tanto che Fercia è portato ad affermare che la tutela "sembra configurarsi in funzione meramente reipersecutoria e, comunque, subordinata al difetto di sacramentum de conscientia. La previsione edittale, quindi, sembra ricorrere più ai principi che emergono nell'editto de recepto che a quelli riconducibili alla tutela poenalis speciale delineata dall'editto pretorio". In realtà, collegando cap. 119 alla tutela classica de recepto non sarebbero necessarie le forzature che conducono Fercia ad individuare "una singolare eterogenesi della funzione originaria della tutela" dell'actio furti in factum, a suo avviso comprensibile con l'ipotesi che quest'ultima nel periodo classico non fosse nossale. Contra la tesi di un'actio furti in factum non nossale, formulata da Fercia anche in Criteri di responsabilità, cit., 201, cfr. Cursi, M. F., "Tra responsabilità per fatto altrui e logica della nossalità: il problema della c.d. exceptio noxalis", in AA. VV., Filía. Scritti per G. Franciosi, vol. I, Napoli, Satura, 2007, 657 ss.; Ead., "Actio de recepto", cit., 126, nt. 35.
91 Recentemente in questo senso, di Cintio, L., "Il naufragio e la lex Raetica Curiensis. Un caso particolare di epitome", in KOINΩNIA, vol. 44, t. 1, 2020, 488, per la quale il caput in questione avrebbe recepito la tradizione risalente al testo edittale riportato da Ulpiano 14 ad ed. (D. 4.9.1pr.), lasciando però anche emergere un cambiamento di tendenza non certo marginale rispetto agli "antichi prudentes". Presso questi ultimi sarebbe stato possibile recuperare "gli oggetti persi in seguito a un naufragio, o a eventi ad esso assimilati, soltanto dopo aver fornito la prova di appartenenza secondo i criteri del processo formulare, diversamente in ET., il principio è assorbito dal giuramento. Dalla prova oggettiva si passa al giuramento". Sono d'accordo sulla possibilità di individuare in cap. 119 un fondamento romano nella disciplina del receptum e una 'novità' rispetto alla disciplina processuale della tutela di quest'ultimo nei sacramenta de conscientia. Non sono però convinta che tali sacramenta de conscientia avessero lo scopo di fornire la prova dell'appartenenza dei beni. Mi sembra più probabile che si facesse ricorso ad essi per rafforzare l'estraneità degli imprenditori marittimi e terrestri e dei loro collaboratori rispetto alla perdita subita dai clienti della taberna, della nave o della stazione di cambio.
92 d'Ors, Á., El Código de Eurico. Edición, palingenesia, índices, Madrid, AEBOE, 2014, 204, nt. 661, sembra pensare ad un giuramento che permettesse al convenuto di liberarsi dalla responsabilità per la quale era stato citato in giudizio.
93 così, Rohn, G.F., Commentatio ad edictum Theoderici regis ostrogothorum, Halae, Formis Friderici Grunerti Filii, 1816, 38, nt. 57; Zimmermann, E., Der Glaubenseid, Eine rechtsgeschichtliche Untersuchung, Marburg-Leipzig, N. G. Elwert, 1863, 94 e nt. 28; Dahn, F., "Die Edicte der Könige Theoderich und Athalarich", in Die Könige der Germanen. Das Wesen des ältesten Königthums der germanischen Stämme und seine Geschichte bis zur Auflö;sung des karolingischen Reiches, vol. 4, Würzburg, Fleischmann, 1866, 90; Bluhme, F., "Edictum Theoderici Regis", cit., 165 in nota; De Robertis, F. M., Receptum nautarum, cit., 132 e nt. 1; Fercia, R., La responsabilità, cit., 347 e 348; di Cintio, L., "Il naufragio", cit., 488 (su cui supra, nt. 91).
94 Goldschmidt, L., "Das receptum nautarum", cit., 117 s., nt. 107; Peters, H., "Generelle und spezielle Aktionen", cit. 296 s.; Levy, E., "Zur Lehre", cit., 27; Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 5 e nt. 2.
95 Se è vero, come sostenuto da Chiazzese, L., Jusiurandum, cit., 149, che la contumacia costituisce l'unico presupposto del jusiurandum in litem e che, "come 'contumacia' non si ha se non di fronte al tassativo 'iussus de restituendo', e questo può essere solo pronunziato dal giudice nei processi che s'incentrano in formole munite di clausola restitutoria, così il risultato ultimo è che giuramento estimatorio non si dava, nel sistema del processo formolare, se non, per l'appunto, in codesta categoria di giudizi", allora l'actio de recepto avrebbe dovuto contenere una clausola restitutoria.
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